di Augusto Cavadi - Cronache Laiche 11 giugno 2011
Gli storici dovrebbero aiutarci a capire che non si può piegare l’analisi del passato alle polemicuzze del presente e leggere il processo risorgimentale con le lenti degli interessi di bottega (in senso figurato ma anche in senso letterale!).
Un contributo di chiarezza ci viene intanto dallo studioso palermitano Livio Ghersi che, su alcuni fogli provvisori passati agli amici, commenta assai severamente il best-seller di Pino Aprile Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali, Piemme, Milano 2010: un libro che si presenta come la sintesi di tutti gli argomenti del meridionalismo piagnone e rivendicazionista. Quale la formula riassuntiva del testo di Aprile? «Sono centocinquant’anni che l’Italia è un Paese unito a mano armata, sull’idea della minorità del Meridione e dei meridionali». Da qui la rivalutazione del brigantaggio, visto come eroico tentativo di difendere l’onore, i valori e le tradizioni meridionali contro conquistatori (garibaldini o piemontesi che fossero) spregiudicati ed efferati.
Ma è fondata storicamente questa versione dei fatti? Vero è che, pochi mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia, si spense Cavour, «il miglior cervello politico che l’Italia avesse»; però – continua Ghersi – «non è credibile che i successori di Cavour, a cominciare dall’ottimo e giustamente stimato Ricasoli, fossero così stupidi da puntare sul saccheggio di villaggi e lo stupro di donne per domare il Meridione, come invece il libro di Aprile vorrebbe indurre i suoi lettori a pensare. Infatti, impiegare l’esercito per usare violenza nei confronti della popolazione inerme, non soltanto contraddice elementari sentimenti di umanità, non soltanto denota comportamenti radicalmente anti-cristiani, ma dimostra anche un’enorme stupidità politica, perché ha l’unico effetto di aumentare l’ostilità ambientale».
Ma veniamo all’attualità. Pino Aprile avanza due interrogativi: perché il Sud «non dovrebbe andarsene per fatti suoi?» E ancora: «quanto vale il Meridione, staccato dal resto d’Italia?». Qui non siamo più al meridionalismo «querimonioso e querulo», stigmatizzato da Francesco Compagna: «c’è stata – osserva Ghersi – un’involuzione: ora siamo al meridionalismo irresponsabile, terreno di scorribande per avventurieri politici». Già agli inizi del XX secolo Giustino Fortunato, pioniere del meridionalismo, insegnava a diffidare da chi usi la questione meridionale «come un’acre querimonia di dare e di avere, di profitti e di perdite, che faccia capo ad una febbrile gara di appetiti intorno al bilancio della spesa». E, punto per punto, contestava (ante litteram!) le tesi di Aprile: «che il Mezzogiorno si fosse ritrovato, al 1860, in condizioni relativamente migliori di quelle del resto d’Italia” perché “poche le imposte, un gran demanio, tenue e solidissimo il debito pubblico, una grande quantità di moneta metallica in circolazione». Non per caso, fu il campano Fortunato a suggerire a Salvemini il titolo del settimanale che questi si apprestava a fondare e dirigere: l’Unità. Ed è strano che a rovinare l’economia del Sud non sia stato il piemontese Conte di Cavour ma – due decenni dopo – il siciliano Francesco Crispi che, introducendo misure protezionistiche a favore delle industrie del Nord, provocò per reazione il boicottaggio dei prodotti meridionali da parte della Francia e di altri Stati industriali. Insomma, conclude Livio Ghersi dopo una serie di osservazioni più tecniche sulla politica economica del governo nazionale, «bisognerebbe andar cauti prima di affermare con grande sicurezza che l’unificazione nazionale sia stata la causa dell’impoverimento del Mezzogiorno. Sempre che non si abbia l’urgenza di fare demagogia». Di demagogia, in giro (soprattutto grazie agli sproloqui dei dirigenti della Lega Nord), ce n’è già abbastanza: forse è venuto il momento – se si vuole fare altro – di mostrare con i provvedimenti amministrativi (dall’alto) e con le iniziative economiche e sociali (dal basso) che il Meridione è abbastanza maturo da riconoscere le proprie responsabilità e da mettere in atto le proprie potenzialità.
Augusto Cavadi giugno 13th, 2011 11:55
Gentile Signor Colacino, La ringrazio della sostanza del Suo intervento (le frecciatine ironiche mi interessano meno quando è in gioco la conoscenza della verità, sia pur relativa come sempre quando si fa storia). Le sono tanto grato da proporLe di inserire il suo commento anche sul mio blog (www.augustocavadi.eu) dove ho riportato il mio articolo in questione. Troverà già alcune precisazioni del mio amico Livio Ghersi che informa, offrendo i relativi riferimenti bibliografici, che i suoi “fogli” sono diventati prima un articolo e poi il capitolo di un (...)