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Analisi superficiale e con un po’ di mala fede

C’è pure la barbarie dei neo-borbonici

di Peppino Caldarola da Il Riformista
sabato 19 marzo 2011

C’è pure la barbarie dei neo-borbonici

di Peppino Caldarola da Il Riformista

Politica e falsi storici. I rischi di un neo-meridionalismo, che cova soprattutto a destra, speculare all’anti-unitarismo della Lega.

La barbarie è dietro l’angolo. Dopo vent’anni di predicazione leghista, si infittiscono i segnali che segnalano l’insorgenza di un meridionalismo separatista. Piccoli fuochi che possono diventare un incendio. Piromani improvvisati sollecitano le frustrazioni della società meridionale.

Nuovi facinorosi della politica propongono un’altra metamorfosi della Casta, intellettuali e polemisti scoprono le ragioni di ieri per rompere la cappa che grava sull’oggi. Non sappiamo come sarà ricordato questo 2011 nel 2061 quando festeggeremo il duecentesimo dell’Unità d’Italia. Non lo sappiamo perché potrebbe persino accadere che non ci sarà più nulla da festeggiare se non avremo arginato lo tsunami anti-unitario che sta rovinando la festa del centocinquantesimo. Il centenario, ha scritto lo storico Emilio Gentile, segnò il trionfo della Dc e addirittura il primato cattolico del Vaticano sul Risorgimento. Di questa celebrazione ricorderemo la fatica nel chiamare le istituzioni e i cittadini a festeggiare l’evento grazie al quale siamo diventati uno Stato europeo.
Come spesso accade i fenomeni politici sono preceduti dalla cultura e dal linguaggio. Intendo cultura nel senso di formazione di un’opinione pubblica attraverso narrazioni avvincenti. Nel Sud di oggi si moltiplicano le sigle politiche che si richiamano a una diversità del Mezzogiorno. Le più importanti sono siciliane, quasi tutte nascono a destra. C’è il movimento del governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, c’è la diaspora berlusconiana dell’ex luogotenente siciliano del premier Gianfranco Miccicchè, c’è “Io Sud” di Adriana Poli Bortone in Puglia, c’è persino un contrapposto “Noi Sud” che ha due parlamentari nella maggioranza di centrodestra. C’è un pullulare di sigle e movimenti in molte città del Sud. A sinistra il sindaco di Bari, raccogliendo una vecchia suggestione di Antonio Bassolino, sta varando per i primi d’aprile un convegno del Pd intitolato ai “Terroni democratici”.

Una cultura e una parola abbiamo detto sono diventati la bandiera di questo confuso e contraddittorio neo-leghismo meridionale. La cultura è quella della “conquista regia”, tema che rimanda allo scrittore Alfredo Oriani, e a tutta la letteratura revisionista sul Mezzogiorno, e che sintetizza la delusione meridionale per il processo unitario. La tesi è suggestiva quanto infondata. C’era un Mezzogiorno prospero e moderno rapinato dal Nord conquistatore. Nel Sud ci fu una grande guerra civile in cui la parte sconfitta venne rappresentata come borbonica e brigantesca mentre rappresentava una prova di resistenza alla Conquista al pari di altri movimenti di resistenza che abbiamo conosciuto. Non discuto queste tesi. Molti editori, in particolare Laterza, hanno pubblicato testi approfonditi sull’Unità d’Italia. Basta consultarli. Va anche detto che nessun meridionalista, da Fortunato a Salvemini a Dorso, pur nella critica severa sulla drammaticità “questione meridionale” e sulle colpe del Risorgimento, ha mai messo in discussione l’unità del paese. In uno splendido saggio di prossima pubblicazione, Giuseppe Vacca confuta le tesi di chi ha letto il meridionalismo di Gramsci come espressione di una contestazione radicale del Risorgimento. Lascio questo lavoro agli intellettuali.

Un cronista politico osserva invece che nel fiorire di questi movimenti paraleghisti si sta realizzando una straordinaria mutazione della percezione della questione meridionale. Un tema su cui si arrovellarono intellettuali e politici alla ricerca di soluzioni al dualismo Nord-Sud si presenta, mentre siamo già inoltrati nel secondo millennio, come una rivalutazione di linguaggi e culture neo-borboniche. Emerge cioè quell’atteggiamento culturale che spesso ha spinto le comunità territoriali a darsi una storia ricercando le fondamenta di una piccola patria. È l’immagine di un Sud compatto e prospero che si cerca di contrapporre alla storia nazionale: i briganti diventano i nuovi partigiani, la mafia un fenomeno di resistenza, il tradizionalismo e la cultura passatista le radici di uno stato di natura fiorente. Quando Michele Emiliano sdogana come un’etichetta spendibile l’insulto “terroni” per indicare la via di un riscatto meridionale comprendiamo come la confusione culturale può aprire varchi inediti alla commistione fra destre e sinistra.

Il materiale su cui si sta formando questa linea di tendenze che affascina molti meridionali delusi e incattiviti dall’emarginazione della loro terra ha trovato in un libro di grande successo, dell’ex direttore di Oggi, Pino Aprile, il suo manuale di rivolta, ma trova anche in testi che hanno una loro bellezza, sono costruiti però senza popolo, come il romanzo Traditori di Giancarlo De Cataldo, il contenitore letterario. Nelle librerie sono tornati i romanzi di Carlo Aianello e di altri cantori della rabbia meridionale. Altra cosa rispetto alla sofferenza del Sud che viene fuori dalle pagine bellissime, siamo agli inizi del Novecento, di Mimmo Gangemi che ci parla della Calabria nella Signora di Ellis Island con la stessa forza con cui Gay Talese raccontò l’epopea di Maida. Storia e letteratura si combinano con testi violenti e raffinate ricostruzioni come quella di Giordano Bruno Guerri. Di tutto questo bisogna saper cogliere il dato di cultura e di politica. Queste narrazioni corrispondono a uno stato d’animo della gente meridionale. La delusione del Sud verso il Risorgimento, che Luigi Pirandello descrive magistralmente nei Vecchi e i giovani, sta diventando un programma politico attuale e ambisce a diventare senso comune.

Non è per caso che questi orientamenti affiorino soprattutto a destra e che la sinistra balbetti o insegua pedissequamente. È qui, in questo manifesto della controrivoluzione, che si garantisce la prosecuzione dell’invadenza politica delle classi di governo e delle classi dirigenti in generale. Il neo-meridionalismo non critica il Risorgimento perché i democratici non riuscirono a dare struttura agli ideali di progresso civile, ma crea l’armatura culturale perché le classi dirigenti di oggi possano presentarsi come portabandiera di nuova subalternità del Sud, ancora più “piagnone e fregnone”. Il tema di un nuovo meridionalismo è la sconfitta delle sue classi dirigenti. È il loro rapporto oggi con lo Stato unitario e domani con lo Stato federale a condannare il Mezzogiorno all’impotenza e all’impoverimento attuali. Altro che terroni, altro che sogno separatista. Malcom X chiamava i suoi fratelli succubi della cultura bianca i “negri da cortile”, temo che lo scenario del Sud si stia affollando di “meridionali da cortile”, quelli che vogliono inventarsi una “Terronia” per contrastare una “Padania”. Senza l’Italia siamo tutti pigmei.


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