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Il ritorno della strategia della tensione (e dei servizi segreti deviati?)

Strage di Brindisi. Il gesto isolato di un folle? Sí, di un picciotto dei servizi segreti.

di Lucio Giordano - da you-ng libera informazione
lunedì 21 maggio 2012

Strage di Brindisi. Il gesto isolato di un folle? Sí, di un picciotto dei servizi segreti.

DI LUCIO GIORDANO

Giovanni Falcone diceva: ” È impossibile non parlare di Stato quando si parla di Mafia”. E l’hanno ucciso. Come Melissa.

Un folle non schiaccia il pulsante del timer per far esplodere tre bombole del gas davanti ad una scuola. Anche se odiasse tutto il mondo, anche se fosse un pervertito, non avrebbe la lucidità per costruire un ordigno cosi artigianalmente sofisticato. Un uomo accecato dalla gelosia, un uomo con seri disturbi mentali, prenderebbe una pistola e sparerebbe all’impazzata, come spesso capita in America.

Un ordigno cosí ben congegnato ha il marchio mafioso. Giovanni Falcone, il magistrato antimafia, morí in dinamiche simili. Un timer, una bomba, la sua auto che scivola da Punta Raisi a Palermo, fino all’esplosione che dilania lui, la sua scorta, pezzi di autostrada. Ma la mafia non aveva interesse a compiere la strage di Brindisi, si dice. Forse non ne aveva. O forse sí. Le modalità però lo farebbero pensare. La Marcia dall’Associazione Libera di Don Ciotti, organizzata proprio nelle stesse ore a Brindisi, ad esempio. Associazione fastidiosa, per cosa nostra, quella di Libera. Sempre in prima linea a combattere per la legalità. Guidata da un prete, poi. Certo, in maniera marginale ci sono anche due simbolismi antipatici per i padrini di Palermo, Reggio Calabria, Napoli: la scuola intitolata a Francesca Morvillo, la moglie di Falcone. E il tribunale che si trova proprio di fronte all’istituto professionale.

Ma perché proprio una scuola, perché assassinare barbaramente una ragazza di sedici anni come Melissa facendola saltare in aria con tutti i suoi sogni? Semplice. Come dice giustamente Don Ciotti, piú che la giustizia, i boss di cosa nostra, della camorra, della ndrangheta temono il potere e l’importanza della scuola. l’istruzione. La capacità critica dei giovani che si affacciano alla vita e che studiando hanno più possibilità di dire no alla cultura perversa della criminalità.

Ancora. La mafia non avrebbe interesse a sollevare polveroni, cerca consenso popolare e ha voglia solo di condurre i propri affari serenamente. Certo, peccato che la mafia stia finendo ai margini della stanza dei bottoni dove, e sono molti gli italiani a sostenerlo, ha governato quasi ininterrottamente per undici anni, affacciandosi seriamente e sfacciatamente per la prima volta nel 1994. Deve riprendersi quello che la coscienza civile le sta togliendo. Al plurale: stesso discorso vale infatti per ndrangheta e camorra. La mafia ha insomma paura in questo momento. Paura di perdere il potere incontrastato degli ultimi vent’anni.

E non si creda ai successi della lotta alla criminalità degli ultimi tempi. Ricordava tanto la battaglia ingaggiata da Mussolini contro la mafia. Poi si scoprí che furono i mafiosi stessi a consegnare al regime fascista gli uomini più ingombranti o le cosche perdenti. Una sorta di guerra per bande. Con due vincitori. Il fascismo, che faceva finta di aver assestato dei colpi ad effetto per l’opinione pubblica. E alcune famiglie mafiose, più determinate di altre a conquistare fette di potere. Non dimentichiamo poi altre analogie con il passato recente. Sotto un governo di tecnici, in un Paese devastato dalla corruzione e dalla crisi irreversibile dei partiti della Prima Repubblica, ci fu la strage di Via dei Georgofili a Firenze. Nel ’92 Falcone e Borsellino vennero assassinati dalla mafia, forse proprio per aver scoperto trame oscure tra i boss di cosa nostra e pezzi consistenti dello Stato.

Avrebbe quindi fretta, la mafia, di non perdere l’ultimo treno per risalire in carrozza. E forse avrebbe fretta anche qualche gruppo di potere. Che vuole assestare un colpo decisivo alla democrazia italiana. Pensateci bene: il momento è propizio. Crisi economica, rivolta sociale nell’aria, caos, delinquenza in aumento. Fare ingoiare al Paese leggi liberticide, in un clima del genere, sarebbe un gioco da ragazzi. La strategia della tensione, il fantomatico ritorno delle sedicenti Brigate rosse, sono formule piú che collaudate. Da Piazza Fontana alla strage di Bologna, sono state sperimentate in passato da alcuni pezzi slabbrati dello Stato. Ma anche dalla massoneria, dalla finanza senza scrupoli, dalla destra eversiva, dalla mafia stessa. Tutti insieme appassionatamente. Quello che, nonostante ripetuti tentativi autoritari non era riuscito negli ultimi dieci anni, potrebbe dunque riuscire adesso. Agendo ora, subito. E non tra un anno, quando si tornerebbe a votare.

Fantapolitica? Forse. Di certo la ‘bastarda esecuzione’ di Melissa ha una sua logica. Lineare e cinica. Di un cinismo disperato alla ora o mai piú. Con discrete probabilità di successo, tra l’altro. Questo, se non ci fosse stato il fattore T. Il fattore terremoto. La terra infatti continua a tremare in Emilia Romagna. Se la natura non avesse amaramente seppellito sette persone nel ferrarese, della strage di Brindisi se ne sarebbe parlato ossessivamente per giorni, settimane. Facendo montare la rabbia popolare che magari avrebbe accettato regole più severe di convivenza. Tutto rimandato, per il momento. Il cordoglio per le vittime del sisma e l’emergenza terremoto hanno la precedenza.

A formare un argine ci hanno poi pensato i tantissimi italiani che hanno manifestato spontaneamente nelle piazze, il giorno stesso della morte di Melissa. In quelle centinaia di migliaia di voci c’era il no di un’Italia onesta e perbene, che crede nella legalità. Unita contro qualsiasi svolta autoritaria. Un’Italia vigile, pronta a reagire. Che ha molto coraggio e nessun timore. Che da oggi stesso e fino al termine delle lezioni, ne sono sicuro, accompagnerà i propri figli a scuola gridando: noi non abbiamo paura. Di voi e dei vostri sporchi giochi.


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