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Fondato a Napoli lo scorso 24 ottobre 2011

Il Manifesto del Partito Secessionista dell’Italia Meridionale

da Caserta 24 Ore Il Mezzogiorno 07.11.11
giovedì 23 febbraio 2012

Pubblichiamo un’intervista al fondatore del partito, dal sito di Caserta 24 Ore (dello scorso novembre), dove viene anche presentata una originale ricostruzione storica dei fatti unitari...

Il Manifesto del Partito Secessionista dell’Italia Meridionale

da Caserta 24 Ore Il Mezzogiorno 07.11.11

Si chiama Partito Secessionista dell’Italia Meridionale” (PSIM) e il suo scopo, indicato nello statuto depositato ufficialmente a Napoli lo scorso 24 ottobre, è “promuovere la secessione dell’Italia Meridionale dall’attuale Stato Italiano, come sola via concreta per metter fine alla condizione intollerabile in cui si trova oggi quella terra, da sempre fonte di cultura e civiltà”.

Il partito è stato fondato per iniziativa di Stefano Surace, che ne è il presidente, affiancato da Enzo Marino, segretario.

Superfluo ricordare chi è Surace, data la sua notorietà anche internazionale. Giornalista specializzato in inchieste di cui alcune hanno prodotto profonde riforme non solo in Italia, protagonista di vicende altamente meritorie per l’interesse pubblico che han fatto piú volte il giro del mondo sui media, nonché maestro di arti marziali (Ju-Jitsu) di rinomanza mondiale.
Suo particolare interesse è l’analisi e la denuncia delle manipolazioni dell’informazione – purtroppo tanto efficaci e diffuse nei piú diversi settori – realizzate abitualmente da certi ambienti e dai loro specialisti nel genere.
Enzo Marino, oltre che giornalista, è imprenditore di varie aziende fra l’altro editore e gestore dell’emittente televisiva MDM del giornale “Il Messaggero del Mezzogiorno”.

ABCnews ha dunque ritenuto di porre alcune domande a Surace circa questo partito, e riporta quì di seguito una sintesi delle sue risposte.

Surace precisa le motivazioni
Abbiamo fondato questo partito – ha dichiarato Surace a ABCnews – per porre fine alla spoliazione massiccia e sistematica delle risorse del Sud, perpetrata costantemente per 150 anni fino a dar luogo all’attuale situazione del tutto insostenibile.
Spoliazione seguita alla cosidetta “unità d’Italia” , che è stata semplicemente un crimine contro l’umanità ai danni delle popolazioni meridionali.
Anche se certi volenterosi ambienti di potere si sono dati quest’anno a celebrarne ufficialmente il 150° anniversario in pompa magna, come una fulgida gloria…

Indispensabile dunque che l’Italia del Sud metta recisamente fine a questa situazione, riappropriandosi della propria indipendenza, delle proprie risorse e riprendendo il proprio congeniale cammino di efficace progresso economico e culturale, che è stato sconvolto da quell’ "unità".

La nascita del partito secessionista intende interpretare anche lo sdegno che monta attualmente nel Sud Italia in seguito alle ricerche effettuate da una folta schiera di studiosi delle piú diverse estrazioni, che hanno messo in luce in modo impressionante come l’ ”unità d’Italia” è stata appunto un efferato crimine contro l’umanità.

Per la precisione, lo statuto del Partito indica che la secessione va realizzata in applicazione della legge italiana n. 881 del 25.10.1977 (pubblicata nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre 1977, n. 333) che ratifica la Convenzione internazionale stipulata nell’ambito dell’ONU il 16.12.1966 e che prevale sul diritto interno italiano (Cass.Pen. 21.3.1975).
Convenzione che all’art. 1 stabisce testualmente che “tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtú di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale”.
E che “gli Stati parti del presente Patto debbono promuovere l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite”.

Lo Statuto non esclude, una volta realizzata la secessione, la possibilità di una successiva adesione a un’eventuale Confederazione italiana in cui sia garantita l’autodeterminazione di ciascun Stato confederato.

Qualche dettaglio…
Comunque per ben comprendere tutto questo fenomeno – continua Surace – è necessario considerarlo nel suo intero svolgimento a partire dal suo inizio, nel 1861.
È da notare in effetti che l’Italia meridionale prima di quell’anno (come Regno delle Due Sicilie, e prima ancora come Regno di Sicilia e regno di Napoli) era sempre stata oggetto di vive gelosie da parte delle altre nazioni (Francia, Inghilterra, Spagna, Austria) per la sua invidiabile prosperità, cultura e progresso civile.
Nazioni che fra l’altro tendevano a subentrarle nel controllo del Mediterraneo e magari sottrarle almeno una parte delle sue vaste risorse, ad esempio le sue miniere di zolfo in Sicilia che all’epoca avevano il monopolio mondiale di questo indispensabile minerale.
Quel regno aveva tuttavia potuto sempre salvaguardare il proprio territorio, i propri interessi e le proprie popolazioni, avendo avuto in genere sovrani validi, anche se di diverse estrazioni e dinastie, e alcuni anche dalle qualità eccezionali: basti ricordare l’imperatore Federico II e re Carlo III di Borbone.
Tuttavia nel 1859 sul trono delle Due Sicilie a Napoli si trovò, per ragioni ereditarie, un giovane purtroppo pavido e sprovveduto, assolutamente non all’altezza del proprio compito : Francesco II di Borbone, detto “Franceschiello”.

Fu cosí possibile al modesto re Vittorio Emanuele II di Savoia (che si trovava in pessime condizioni economiche poiché il suo regno, il Piemonte, era una delle zone piú sottosviluppate d’Europa) rubargli letteralmente il florido Regno delle Due Sicilie, che poté cosí depredare delle sue ingenti riserve auree e di denaro e delle efficienti ed avanzate strutture industriali, danneggiando gravemente questa terra e i suoi abitanti.

E il pavido e sprovveduto Franceschiello, invece di difendere il suo regno e il suo popolo come suo preciso compito, non aveva saputo far altro che fuggire da Napoli al semplice annuncio che Giuseppe Garibaldi – un avventuriero emissario di Vittorio Emanuele – si stava avvicinando.
Sicché era andato a rifugiarsi nella fortezza di Gaeta, dove i suoi soldati resistettero valorosamente all’assedio dei piemontesi, ma dopo due mesi il Franceschiello fuggí anche di lí su una nave francese, lasciando i sui fedeli soldati in balìa dei Piemontesi .
I quali, dopo averli fatti prigionieri “con l’onore delle armi” si affrettarono a fucilarli in massa sotterrandone poi i cadaveri in fosse comuni insieme a quelli di migliaia di civili vittime di quell’assedio.

Furono gli stessi dirigenti delle Due Sicilie a rendere possibile l’arrivo del Savoia
Da notare che a rendere possibile l’arrivo a Napoli dapprima di Garibaldi e poi di Vittorio Emanuele II erano stati proprio numerosi quadri dirigenti dello stesso Regno delle Due Sicilie che ne controllavano i vari settori : esercito, marina, amministrazione pubblica.
Essi infatti, avendo constatato la desolante incapacità del Franceschiello, stimavano necessario, nell’interesse del regno e del suo popolo, che al suo posto si istallasse sul trono napoletano un re in grado di svolgere normalmente il proprio compito.
E si erano orientati sul pur modesto Vittorio Emanuele II di Savoia, l’unico che sembrava disponibile e per di piú appariva un po’ di famiglia, essendo cugino del Franceschiello che era figlio di una Savoia.
In tal modo, secondo le vedute di quei dirigenti, Vittorio Emanuele sarebbe subentrato dapprima come re delle Due Sicilie. E subito dopo come re d’Italia, poiché dall’unione dei territori duosiciliani con quelli che il Savoia già aveva nel nord sarebbe nato un regno d’Italia unitario.

Con capitale ovviamente Napoli, città di gran lunga la piú grande, ricca e prestigiosa d’Italia, ed una delle piú prestigiose d’Europa.

Con ciò quei dirigenti meridionali avevano ritenuto di agire nell’interesse del Sud, dotandolo di un re che appariva comunque piú valido del Franceschiello e rendendo Napoli capitale non solo del regno delle Due Sicilie ma di uno Stato che comprendeva tutta o quasi la Penisola, realizzando cosí anche un tenace sogno di idealisti e letterati.

Ma le cose andarono ben diversamente da come quei dirigenti avevano previsto: il Savoia infatti, dopo aver passato sotto il proprio controllo la potente marina e l’esercito duosiciliano, invece di stabilirsi a Napoli adottandola come capitale del nuovo regno d’Italia, annesse questa città e l’intero territorio delle Due Sicilie al proprio regno del Piemonte, proclamando appunto regno d’Italia l’insieme di quei territori, ma con capitale Torino…
Anche se questa città era senza paragoni piú piccola e meno prestigiosa di Napoli, e il Piemonte, in cui si trovava, una delle zone piú sottosviluppate d’Europa.

I meridionali reagirono
Ma se il buon Franceschiello era pavido e incapace, non lo era il suo popolo, che reagí.
I soldati napoletani rifiutarono in stragrande maggioranza di essere incorporati nell’esercito di Vittorio Emanuele e si crearono gruppi di patrioti contro i quali il Savoia dovette mandare un esercito di ben 150.000 uomini.
I quali tuttavia, non riuscendo a battere i patrioti ed anzi ricevendone spesso cocenti sconfitte, si scatenarono contro la popolazione civile bruciando villaggi, uccidendo e seviziando in massa uomini, donne, preti, bambini, distruggendo i raccolti agricoli, incendiando vaste foreste compresi i villaggi e gli abitanti che vi si trovavano.
Praticando metodicamente il terrore, il saccheggio, la tortura e sevizie inaudite contro inermi cittadini, gesta al cui confronto quelle famigerate delle SS naziste appaiono cosette da asilo infantile.
E per tentare di giustificare quei massacri, affermavano di combattere contro delinquenti (“briganti”) mentre i criminali erano loro, programmatori e autori di quelle atrocità.
In realtà i patrioti – molto appoggiati dalla popolazione – erano costituiti da soldati e ufficiali dell’esercito delle Due Sicilie che avevano rifutato di farsi incorporare nell’esercito piemontese (cosiddetto “unitario”), da contadini e pastori che reagivano alle angherie dei soldati piemontesi, da cittadini e preti che reagivano alla distruzione dei loro villaggi e delle loro chiese, da giovani che si erano dati alla macchia poiché renitenti alla leva ordinata dal Savoia.
E a tutti costoro si era unita automaticamente anche una minoranza di elementi che alla macchia c’erano già per conto loro, perché accusati o condannati per vari reati tra cui ferimenti o omicidi, che tuttavia il piú spesso avevano commesso – se li avevano commessi – per onore (è notorio infatti che all’epoca nel Sud se si uccideva era quasi sempre per ragioni d’onore) o per vendicare soprusi di signorotti su loro familiari.
E costoro, appassionatisi alla causa della difesa di quelle terre nella quale trovavano un nuova dignità, divennero assai utili agli altri patrioti poiché già ben pratici di queste situazioni di clandestinità, tanto che alcuni divennero assai popolari.

I cretini clinici e i tarati affamati del Nord
Viene comunque da chiedersi come dei militari di un esercito regolare – poiché tale risultava ufficialmente quello piemontese – avevano potuto darsi a quei crimini efferati di massa e per di piú ai danni di popolazioni della Penisola.
Al riguardo bisogna tener presente che Piemonte e Lombardia erano zone all’epoca ritenute scientificamente campioni mondiali del cretinismo clinico endemico.
Basti dire che per esempio in zone come quella di Sondrio si riscontrava l’inaudita percentualie di 8 cretini clinici su cento abitanti, tanto da far divenire “cretini e Sondrio” e “cretini e Valtellina” binomi inscindibili non solo fra i medici, ma anche fra la gente comune.

E anche nel resto della Lombardia e del Piemonte i clinicamente cretini abbondavano a livelli record, anche se inferiori alla zona di Sondrio.
E fra quelli che non erano totalmente cretini ce n’erano in abbondanza di sottosviluppati tarati e affamati, con connessa ferocia primitiva.
Ed è proprio grazie a questa larga disponibilità di lombardi e piemontesi primitivi, affamati e abbondantemente tarati – non a caso discendenti da antenati come unni, ostrogoti, visigoti e simili – che Vittorio Emanuele II e il suo degno ministro Cavour poterono realizzare quello spregevole crimine contro l’umanità.

La rapina dei beni e la strage delle industrie
Parallelamente alle loro stragi contro la popolazione, i piemontesi facevano strage delle ricchezze di quelle terre: rapinando le ingentissime riserve auree del Regno delle Due Sicilie, il denaro delle sue banche, e distruggendo i suoi centri economici e civili.
Smantellando fra l’altro le sue industrie, che al momento dell’ “unità” erano di gran lunga al primo posto in Italia, e trasportando le loro strutture, pezzo per pezzo, a nord della Penisola, in modo da far passare artificiosamente in tutta fretta il polo dell’industria italiana dal Sud al triangolo Torino-Milano-Genova, fino allora sottosviluppato.
Utilizzando a tale scopo, oltre ai capitali rapinati, anche i tecnici e la mano d’opera specializzata che fino allora aveva lavorato nelle industrie del Sud ormai smantellate, e che quindi erano i soli in grado di far funzionare queste nuove industrie fatte sorgere di colpo come funghi nel Nord.

Si è trattato dunque di un spoliazione massiccia e programmata delle risorse del Sud che è poi continuata sistematicamente per 150 anni fino a dar luogo all’attuale situazione del tutto insostenibile.

Insomma la cosiddetta “unità d’Italia” ha distrutto l’Italia del Sud, le cui condizioni economiche e culturali erano fino allora – come Stato delle Due Sicilie con capitale Napoli – fra le piú floride del mondo, senza paragone migliori di quelle ben precarie del resto della penisola italiana.

Napoli era la città di gran lunga piú ricca d’Italia e una delle piú ricche e prestigiose d’Europa, mentre Torino e il Piemonte erano appunto fra le zone piú sottosviluppate.

Il Sud Italia, invidiato da tutte le nazioni, era meta ambíta di di immigrati provenienti da ogni parte d’Europa, attratti da ragioni economiche oltre che dalla bellezza dei luoghi e dalla qualità della vita.

Ma l’ “unità d’Italia” trasformò di colpo questa invidiabile situazione in un disastro colossale.

Basti dire che da zona attrattiva di immigrazione il Sud divenne di colpo zona di emigrazione addirittura di massa: ben il 30% dei meridionali lasciò la sua terra per dirigersi altrove, prevalentemente verso le Americhe.

Una vera, drammatica, diaspora biblica.

Quei “meridionalisti” fasulli e prezzolati
Per di piú si è tentato di occultare questi crimini servendosi di una schiera di “meridionalisti” fasulli e prezzolati, col compito di diffondere menzogne che capovolgessero semplicemente la realtà.
Facendo passare i territori piemontesi e lombardi – che erano appunto zone affamate ed endemiche di cretinismo clinico – per zone invece progredite che si sforzavano invano di far avanzare un Sud atavicamente e irrimediabilmente arretrato… !
Sud che era invece sempre stato fonte privilegiata e inesauribile di cultura e civiltà.

Nel quadro di questa sistematica manipolazione, per cercare di compensare in qualche modo la circostanza imbarazzante che le zone piemontesi e lombarde erano campioni mondiali del cretinismo clinico, con contorno di primitivi tarati, si creò addirittura uno pseudoscienziato, Cesare Lombroso, col compito di… dimostrare “scientificamente” una inferiorità genetica dei meridionali !

E costui mise in piedi un “laboratorio” dove esibiva teschi di minorati che indicava come appartenenti a “briganti” della Calabria… Mentre se li era procurati dai vicini manicomi piemontesi e lombardi che ne avevano in abbondanza, visto come stavano le cose da quelle parti quanto a cretinismo.
E adesso si è appunto arrivati al colmo della manipolazione col celebrare quest’anno ufficialmente come fulgida gloria, in pompa magna, il 150° anniversario di quello che è stato invece un atroce crimine contro l’umanità.

Secessione del Sud sola soluzione concreta
Stando cosí le cose, è chiaro che la secessione del territorio già dello Stato delle Due Sicilie è la sola via concreta per porre fine alla situazione aberrante in cui è stata gettata questa terra.
Il dramma dell’Italia meridionale è stato dunque causato dal trio criminale Vittorio Emnuele II - Cavour - Garibaldi (il quale Garibaldi era, fra l’altro, un noto avventuriero internazionale già condannato per traffico di schiavi, condanna che gli aveva comportato anche il taglio di un orecchio).
Tuttavia costoro nulla avrebbero potuto fare se sul trono di Napoli vi fosse stato un sovrano in grado di svolgere normalmente il proprio compito, com’era sempre stato sostanzialmente in precedenza.
In tal caso infatti qualsiasi tentativo d’invasione da parte di quegli sciagurati del Nord non solo sarebbe stato spazzato via con facilità irrisoria, ma non lo si sarebbe neppure osato.

La causa originaria del disastro del Sud fu dunque la viltà e l’imbecillità del Franceschiello, al punto fra l’altro da alienarsi qualsiasi fiducia da parte degli quadri dirigenti del suo Stato.

È tempo dunque, per l’Italia del Sud, di riprendere la fiamma di quei valorosi patrioti che si batterono per la loro terra.
E di riappropriarsi con coraggio e con mezzi legittimi della propria indipendenza, delle proprie risorse, riprendendo il cammino di efficace progresso indegnamente sconvolto da quei famelici provenienti da Piemonte e Lombardia.

Sicché chi tiene a che il Sud riprenda nelle proprie mani il proprio destino, deve sentire il dovere di aderire con dedizione e coraggio al nuovo Partito Secessionista dell’Italia Meridionale.


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