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Pino Aprile e Lorenzo Del Boca a New York

Ai polentoni non è andata meglio che ai terroni

di Letizia Airos - da i-Italy 3.11.2011
sabato 19 novembre 2011

Intervista al presidente emerito dell’Ordine dei giornalisti e scrittore Lorenzo Del Boca che, il 10 novembre, ha partecipato insieme al collega Pino Aprile al simposio “Terroni e Polentoni” organizzato da ILICA.

La sua non è una risposta a Pino Aprile, autore del controverso libro Terroni, e non è un manifesto “nordista” contro il sud. Ci tiene a dirlo subito.

“Senza rivendicare inutili paternità, ho scritto “Maledetti Savoia” nel 1996 e “Indietro Savoia” nel 1999. Una dozzina di anni prima di Pino Aprile che, del resto, mi cita abbondantemente come riferimento bibliografico.” Precisa del Boca autore di Polentoni il libro che spesso viene affiancato ad un altro caso editoriale “Terroni’ di Pino Aprile. Entrambi verranno presentati, discussi dagli autori in un evento organizzato da Ilica. Il dibattito verrà moderato dal Prof. Anthony J. Tamburri, dean del Calandra Instiute.

Gli chiedo di anticiparci qualcosa, di riassumere in poche parole il suo lavoro con “Polentoni”.

“Ho documentato come il Sud sia stato spogliato, derubato e massacrato. Sotto il fiume Tronto (che indicava il confine settentrionale del regno delle Due Sicilie) si sono presentati 60 battaglioni di bersaglieri che hanno trattato quelle popolazioni come gente da conquistare. La libertà da portare era lo schermo ideologico per rendere l’aggressione spendibile agli occhi dell’Europa. Dissero che i fratelli liberatori avevano aiutato i fratelli da liberare. In realtà, la libertà la portarono sulla punta delle baionette e, alla fine, “liberarono” gente che non voleva essere liberata. Fu una pagina infame ma il Nord da questo massacro e da questa spogliazione non ci ha guadagnato. Almeno il popolo del Nord.”

E perché secondo te il Nord avrebbe avuto la peggio?

I contadini della pianura padana si trovarono i campi devastati da eserciti che si rincorrevano. Ora attaccavano gli austriaci ora gli austriaci si ritiravano davanti ai piemontesi. Il “sogno” del Savoia cominciato nel 1848 terminò (al nord) nel 1866 dopo tre guerre di indipendenza e una quantità sterminata di battaglie. Quanti contadini sono morti di fame perché i raccolti al momento di essere portati in tavola venivano distrutti.

I veneziani e i veneti combatterono con gli austriaci. Furono loro i marinai che sconfissero gli italiani di Persano a Lissa ma, il giorno dopo, scoprirono che facevano parte di un altro stato. Pagavano 11 lire l’anno al governo di Vienna che era efficiente per definizione e si trovarono a pagarne 32 a Torino senza che le opere pubbliche venissero realizzate.

Cifre alla mano dimostri che le risorse nazionali sono state usate a senso unico. Ci anticipi qualcosa?

Da allora vennero realizzati una quantità di “piani” per fare decollare l’economia del paese, soprattutto al Sud che era diventato “la questione meridionale”. Soldi ne spesero una quantità di realizzazioni poco o nulla. Pagarono gli industriali per trapiantare al Sud fabbriche che non funzionarono. Non producevano posti di lavoro ma stipendi. L’Alfa Sud, le acciaierie di Taranto, le aziende di Pomigliano d’Arco, Termini Imerese e i vari interventi della “Cassa del Mezzogiorno” si sono rivelate un fallimento. Un costoso fallimento.

E sostieni che abbia prodotto subito una grande delusione…

Sí, l’Unità d’Italia, come era stata fatta, non piaceva piú a nessuno, nemmeno a quelli che l’avevano fatta,
Giuseppe Garibaldi, nel 1867, da Caprera, scrisse: “non rimpiango niente ma non posso riprendere la via del Mezzogiorno per timore che mi prendano a sassate a causa dei dolori che ho cagionato laggiú”.

Gli stessi garibaldini che evidentemente al risorgimento credevano si trovarono delusi. Alcuni – pochi – fecero buon viso a cattivo gioco e si infagottarono nel nuovo stato indossando divise da ufficiali superiori o accaparrandosi un posto in parlamento. Ma gli altri – la maggior parte – fecero una brutta fine: emrginati, disgustati, impazziti, suicidi. Il piú clamoroso Giovanni Cerutti, di Pavia, si alzò di mattina che ancora non faceva giorno, baciò la moglie e la figlia che stavano ancora a letto, si coprí la testa con un asciugamano. Poi appoggiò un chiodo sulla fronte e se lo piantò nel cranio con una martellata. Aveva appena scritto una riga sul foglio di carta. “Non è questa l’Italia per la quale ho rischiato la vita. Un punto esclamativo a sghimbescio appena coperto da una macchiolina di sangue.

Il simposio dell’11 novembre si prospetta dunque un’occasione utile per riflettere sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia e su quella storia che secondo alcuni andrebbe riscritta.


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