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L’INTERVISTA AL LEADER DEL MOVIMENTO: «NON ABBIAMO NIENTE DA FESTEGGIARE»

Unità e Neoborbonici: «L’Italia celebra una menzogna, è solo retorica»

di Gianluca Abate - da Il Corriere del Mezzogiorno 16.3.2011
sabato 19 marzo 2011

Unità e Neoborbonici: «L’Italia celebra una menzogna, è solo retorica»

Il capitano Romano parla della necessità di riscrivere la storia: «Italiani dal 1946 e ricordare le stragi del Sud»

Il «capitano» neoborbonico Alessandro Romano

NAPOLI — Capitano Alessandro Romano... A proposito, perché la devo chiamare capitano?
«È un titolo onorifico che mi fu dato dalla principessa Urraca di Borbone per le mie ricerche storiche».
Suona un po’ antico...
«L’esercito borbonico aveva due sovranità, su armi e spirito. La prima non c’è piú, resta quella morale».
Ma lei è borbonico o neoborbonico?
«Assolutamente neoborbonico».
La differenza dov’è?
«Il neoborbonico fa parte di un’associazione che si occupa della rilettura storica».
Un revisionista?
«Assolutamente no. Noi vogliamo un risveglio identitario del popolo meridionale per farlo riscattare dalla sua condizione. Il nostro non è revisionismo, è una rivoluzione culturale».
E il borbonico?
«Be’, l’essere borbone significa entrare in una sfera politica, aspirare a creare un ordinamento. Noi non facciamo politica: ci sono esponenti repubblicani, monarchici. Ognuno ha le sue idee».
Ma riconoscete Carlo di Borbone?
«Certo. È il simbolo vivente della nostra storia, delle nostre tradizioni. Rappresenta la nostra nazione».

Alessandro Romano da Ponza, classe ’54, casa a Latina dove vive con la moglie e le due figlie, è un funzionario della Protezione civile con l’hobby (l’avrete capito) della storia. È uno dei principali animatori del movimento neoborbonico italiano. Ed è uno di quelli che domani, giorno della festa nazionale dell’Unità italiana, listerà a lutto la sua bandiera. Quella del Regno delle due Sicilie, ovviamente.

Capitano, mi dice una sola buona ragione per non festeggiare la nostra Patria?
«Gliene dico tre».
Iniziamo dalla prima.
«Innanzitutto non è vero che il 17 marzo del 1861 si unificò l’Italia. La nostra nazione si completò al termine della prima guerra mondiale».
La seconda?
«La proclamazione dell’Italia fu fatta in lingua francese».
Suvvia, vorrà farne mica questione di lingua ufficiale?
«È la prova che l’Italia fu annessa al Piemonte. E qui arriviamo alla terza buona ragione».
Dica.
«Le legislature dell’Italia unita hanno continuato a seguire la numerazione di quelle piemontesi. E invece dovevano ripartire da zero».
E quindi chissenefrega della festa nazionale?
«Guardi che un anniversario lo celebriamo. Solo che per noi lo Stato italiano inizia il 2 giugno 1946. Tutto ciò che c’è stato prima è aberrante».
Be’, rassegnatevi a cambiar data.
«Scusi, ma adesso le cito giusto due numeri: 685.000 morti e 500.000 prigionieri durante l’occupazione dei piemontesi che repressero a cannonate la rivolta delle popolazioni».
E i numeri dei briganti? Ricorda anche quelli?
«Macché briganti, erano partigiani. popolo che si ribellò all’invasione. E fu massacrato. Mi spiega secondo lei cosa c’è da festeggiare?».
Vede che ha ragione chi vi critica? Voi siete contro l’Unità d’Italia.
«No, purché si faccia».
S’è già fatta, non se n’è accorto?
«Ah sí? E dove? Il Risorgimento divide, non unisce. È un risorgimento del Nord, non dell’intero Paese. Scusateci, ma a noi proprio non ci viene da celebrare qualcosa. La verità è che mezz’Italia festeggerà su una menzogna, sulla retorica».
Pensate mai di esagerare?
«Diciamo che in alcuni casi alziamo toni, è vero. Forziamo la mano. Ma senza provocazioni continueranno le solite bugie».
Quindi è meglio un bel ritorno al passato?
«Quello non esiste. Noi chiediamo, vogliamo, pretendiamo solo la riscrittura della storia».
Ieri i consiglieri della Lega della Regione Lombardia sono andati al bar a prendere il caffè mentre suonava l’inno di Mameli. Non è che in fondo v’assomigliate, voi e quelli del Nord «predatore»?
«Macché. L’azione della Lega è finalizzata a interessi territoriali, non ha un’idea di popolo. Noi invece difendiamo l’identità nazionale, non siamo contro l’Italia una».
Sarà. Però qualcosa in comune con i Serenissimi mi sa che c’è.
«Ci unisce la voglia di verità. La nostra esigenza è la stessa dei Serenissimi, dei toscani, di tutti gli stati preunitari che hanno subìto un’invasione. E ora si ribellano».
Non pensa sia passato un po’ troppo tempo?
«Il problema è che nessuno ci dà la parola. E allora la gente chiede la separazione. Io dico: sediamoci davanti a un tavolo e condividiamo la storia. Quella vera, però».
C’è qualcosa che le dà particolarmente fastidio in quella ufficiale?
«Il negazionismo delle stragi al Sud, il silenzio calato su quegli 84 paesi distrutti. Ecco, questa è una cosa che mi offende, che mi manda in bestia».
Domani l’Italia festeggia il tricolore, ma i neoborbonici saranno in piazza con bandiere del Regno listate a lutto. Ci manca solo l’inno da contrapporre a quello di Mameli...
«Ce l’abbiamo. È l’Inno al Re di Paisiello. È del 1778, e giovedì suonerà».
Il kit del perfetto neoborbonico è servito. Non è che c’è anche qualche testo da consultare con particolare attenzione?
«Ci sono cinque volumi che nella libreria di un neoborbonico non possono mancare».
Li ricorda tutti?
«Certo. Malaunità, scritto da varie persone. Perché non festeggiamo i 150 anni dell’unità d’Italia, anche questo di autori vari, tra cui io. Terroni, di Pino Aprile. E poi due libri di Gigi Di Fiore: Controstoria dell’Unità d’Italia e Gli ultimi giorni di Gaeta, l’assedio che condannò l’Italia all’unità» .
Avete anche una sede?
«Certo. A Napoli, Benevento, Avellino, Caserta, Bari, Lecce, Brindisi, Lucera e Potenza. Venticinque in tutto».
Roba da finire sui giornali...
«Abbiamo anche quello. È un giornale telematico, e si chiama Rete di informazione del Regno delle due Sicilie. Conta la bellezza di 13.850 iscritti».
Cos’è, da Federico II a internet?
«La rete aiuta tantissimo. Abbiamo tre siti dedicati: www. neoborbonici. it, www. reteduesicilie. it e www. ilnuovosud. it».
E c’è gente che vi segue in queste vostre battaglie?
«Non ha idea di quanti siano: neoborbonici, filoborbonici, simpatizzanti. Tantissimi».
Una cifra.
«Duecento attivisti. E poi ci sono gli aderenti».
Numero?
«Tre o quattromila. Senza considerare i simpatizzanti».
Aggiungiamoli al conto: quanti?
«Milioni».
Via, milioni...
«Giuro, milioni».
Qualche nome?
«No, i nomi no».
Capirà che è facile dire milioni se poi non si tira fuori neppure un nome, no?
«Facciamo solo quelli dei simpatizzanti, allora».
Li faccia.
«Il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano».
È neoborbonico?
«No, ma è uno che sa dov’è la verità nella storia».
Altri «simpatizzanti»?
«Il sindaco di Bari Michele Emiliano, l’ex sindaco di Caserta Luigi Falco, il consigliere del Comune di Napoli Nino Funaro, l’ex assessore del Comune di Caserta Antonio Ciontoli. E poi Maurizio Marinella. Tutta gente che conosce la storia vera».
Dimentica la Sicilia. Raffaele Lombardo e Gianfranco Micciché?
«No, con loro non vogliamo alcun rapporto. Sono opportunisti».
Voi no?
«La vicenda è molto piú semplice di quel che si pensi. Noi abbiamo uno Stato, l’Italia. E una nazione, la nostra, che invece è iniziata con Federico II di Svevia e Ruggero il Normanno. Sono due realtà che possono convivere pacificamente. Il problema è che se ci fanno incazzare, allora la nostra nazione diventerà anche il nostro Stato».

Gianluca Abate
16 marzo 2011(ultima modifica: 17 marzo 2011)


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