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?Il problema sono i grandi partiti nazionali che devono capire quanto questa battaglia culturale vada ingaggiata?

Mezzogiorno, Maccanico: La questione meridionale ? una battaglia culturale prima ancora che politica

Intervista - da Agenzia Multimediale Italiana
sabato 15 maggio 2010
Una breve nota introduttiva: Maccanico non ? certamente un outsider n? della politica (inizi? la sua carriera come funzionario parlamentare nel 1947, ? stato membro del Partito Repubblicano, dell’Unione Democratica e della Margherita) n? del sistema bancario (? stato presidente di Mediobanca).
Fu estensore del famoso Lodo Maccanico (che stabiliva la non procedibilit? e la sospensione dei processi in corso per le cinque pi? alte cariche dello Stato), paternit? che ha poi successivamente disconosciuto a causa di un maxiemendamento della maggioranza di centrodestra, la legge ha poi preso il nome di lodo Schifani.
Non sorprende quindi l’acritica riproposizione del divario economico e sociale del Sud, rispetto al nord, al momento dell’unit?, come "spiegazione" del divario attuale. Il divario non c’era o era minimo e inoltre dopo 150 anni credo sia pure arrivato il momento di assumersi qualche responsabilit?. In quanto alla Cassa per il Mezzogiorno Capecelatro e Carlo in appendice ad un loro saggio del 1972 "Le recenti misure dello Stato a vantaggio del Sud" (in "Contro la ?Questione meridionale?, Samon? e Savelli") pronosticarono che l’ingente esborso previsto per quegli anni (esborso peraltro riassorbito prevalentemente al nord e in parte dal clientelismo dei politici meridionali) non avrebbe risolto i problemi del Sud.
Infatti la "Cassa" anche se ? vero che qualcosa aveva fatto in termini di infrastrutture, dalla data della sua entrata in funzione, nel 1951, in un periodo nel quale il Sud si trovava in uno dei suoi minimi storici grazie al lungo periodo fascista (che mentre vietava ai meridionali di emigrare al nord, cio? nel "loro stesso paese", incentivava invece i settentrionali ad insediarsi al sud nelle zone di recente bonifica) ed al periodo della guerra (che aveva prevalentemente distrutto le infrastrutture meridionali), proprio a cominciare dagli anni ’70 cominci? a risentire sempre pi? della pesante ingerenza degli apparati di partito e della conseguente dilagante corruzione e illegalit? perdendo quasi del tutto di efficacia, e del resto non ? un mistero che il divario ? maggiore oggi che 150 anni fa, e qualcosa questa semplice osservazione dovrebbe pur significare. In ogni caso l’intervista mette in rilievo alcuni punti interessanti tra i quali, ovviamente, le responsabilit? dei maggiori partiti nazionali (del passato e del presente, aggiungeremmo).
l’intervista

Mezzogiorno, Maccanico: La questione meridionale ? una battaglia culturale prima ancora che politica

Maccanico: ?Il problema sono i grandi partiti nazionali che devono capire quanto questa battaglia culturale vada ingaggiata?

«Abbiamo il problema del dualismo economico fra centro-nord e sud. Un problema irrisolto. Ma non possiamo affermare che nella storia unitaria non ci siano state esperienze positive». La contemporanea questione meridionale vista da Antonio Mazzanico: «L’attuale governo è dominato sopratutto dalla Lega, è evidente che ci sia un pregiudizio nel confronto del Mezzogiorno. Io non credo che avendo piú ministri meridionali le cose vadano meglio. I maggiori meridionalisti erano uomini del nord: Saraceno, Vanoni, Zanotti Bianco». Per Maccanico prima ancora che una battaglia politica la questione meridionale è una battaglia culturale: « Quando si parla di Mezzogiorno si parla di una macroregione, di un problema di dimensione nazionale».

Credo che nell’immediato dopoguerra la linea seguita dai governi De Gasperi con l’istituzione della cassa per il Mezzogiorno ha, tra il ’55 al la prima metà degli anni ’70, prodotto buoni risultati. La dotazione di infrastrutture nel Mezzogiorno è andata avanti. Gli interventi di preindustrializzazione hanno avuto un effetto positivo. Consideriamo anche che alla creazione dello stato unitario il Mezzogiorno aveva rispetto al nord una condizione di arretratezza sia sociale che economica. La politica dei Borboni era di rigore finanziario ma priva di investimento per le infrastrutture. Questo problema si è tardato a vederlo nonostante gli interventi di Giustino Fortunato o Gaetano Salvemini. Quando si ha in un medesimo stato aree piú arretrate occorre che ci siano investimenti aggiuntivi in infrastrutture. A metà degli anni ’70 l’esperienza della cassa del Mezzogiorno si arrestò per alcune ragioni precise: La crisi petrolifera del 1973 mise in ginocchio il sistema produttivo del paese; e la nascita delle Regioni fece si che venne contestata la potestà della cassa ad affrontare i problemi di una macroregione. Ma contribuí anche l’abbandono dello schema che i nuovi meridionalisti avevano creato: lo schema Vanoni con la nota aggiuntiva La Malfa che prevedeva una politica dei redditi che fosse compensativa della politica di espansione produttiva nel Mezzogiorno. Questo avvenne per una opposizione sia dei sindacati che degli imprenditori. Da allora gli interventi sono divenuti sporadici, non aggiuntivi ma sostitutivi. Manca una strategia per il Mezzogiorno.

Nella sua ricostruzione mancano gli anni ’80, il periodo del consociativismo...
Che ha aggravato il Sud. Abbiamo una classe politica che ha dei vizi di fondo: il familismo, il clientelismo, il trasformismo. Questa condizione del Mezzogiorno fa s? che gli investimenti pubblici non vadano a buon fine. Una politica di investimenti aggiuntivi al fine di ammodernare le infrastrutture deve essere guidata dallo Stato non dalle Regioni. Altrimenti si creerebbero rapporti impropri, basati non sulla capacità di governo ma sui rapporti personali. Qui il merito viene mortificato continuamente. Se non si cambia questo costume non si risolverà il problema.

Teme che il federalismo possa fare male al Mezzogiorno?
Certo che può essere pericoloso, il fenomeno leghista nasce dal sentimento radicato nel centro nord che il Mezzogiorno vuole vivere di assistenza senza crescere autonomamente. Questo bisogna smentirlo, tocca alla politica farlo.

Ma almeno negli anni ’80, quando il consociativismo risiedeva finanche negli uffici di alcuni ministri, veniva difeso il tasso occupazionale e garantito il flusso di denari. Adesso cosa c’è? Si ha l’idea che non ci sia manco piú quello...
Tutto con misure assistenziali. Quando si danno pensioni d’invalidità certo che un flusso di denaro viene garantito, ma non si creano centri produttivi. Si è ecceduto in questo tipo di sussidio che non ha risolto i problemi ma ha generato il risentimento del nord.

Secondo lei il Mezzogiorno è rappresentato nell’attuale esecutivo?

L’attuale governo è dominato sopratutto dalla Lega, è evidente che ci sia un pregiudizio nel confronto del Mezzogiorno. Io non credo che avendo piú ministri meridionali le cose vadano meglio. I maggiori meridionalisti erano uomini del nord: Saraceno, Vanoni, Zanotti Bianco. Non è affatto detto che personalità politiche meridionali facciano gli interessi del Mezzogiorno, spesso rappresentano ceti clientelari. L’obiettivo è avere un governo la cui politica economica abbia l’obiettivo della coesione nazionale e dell’eliminazione del dualismo. Questa è una dottrina ufficiale anche della Banca d’Italia: Non sperate voi del nord di avere una fase di sviluppo continua se non risolvete la questione del Mezzogiorno. Questa palla di piombo al piede bisogna togliersela, altrimenti anche il nord è condannato. 

Lei crede che ci sia la volontà di difendere nel federalismo il titolo V della Costituzione?
Alcune cose credo vadano corrette ma che presenta un modello istituzionale di autonomismo che secondo me è giusto per un paese dualistico. Per un verso consente autonomia e autogoverno per le zone sviluppate, ma con il quinto comma dell’articolo 19 prevede risorse aggiuntive dello stato al fine di eliminare gli squilibri territoriali. Un federalismo a geometria variabile. 

Ma se nel governo nazionale poi non abbiamo esponenti politici in grado di difendere il Mezzogiorno?
Quella di adesso è una battaglia culturale. Cogliere la celebrazione dei 150 anni di unità per ribadire che questa battaglia la si consegue se si risolve il ritardo del Mezzogiorno.

Ma lei non lo intravede un ceto politico capace di rappresentare la questione meridionale?
Ripeto: prima di essere una battaglia politica è una battaglia culturale. Questa convinzione di cui parlo: l’inesorabilità di vincere il dualismo economico è un fatto fondamentale. Pensi agli Usa, non era un paese omogeneo economicamente, con un sistema federale hanno risolto il problema. Quando parlo di questo mi riferisco anche al ceto politico del nord. 

Ma lei non teme una risposta reazionaria dal sud, la nascita di una Lega Sud. Non il meridionalismo, ma il meridione trattato sulla falsariga della Padania per la Lega Nord?
Il problema sono i grandi partiti nazionali che devono capire quanto questa battaglia culturale va ingaggiata. Naturalmente gli ostacoli sono creati anche dalla frammentazione politica figlia di una legge elettorale sbagliata. Ma se si imposta questa battaglia culturale possiamo uscirne. Quando si parla di Mezzogiorno si parla di una macroregione, di un problema di dimensione nazionale.

(alessandro di rienzo)2010-05-12 20:16:29


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