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Garibaldi: avventuriero generoso ma poco accorto e di scarse vedute

L’Unità d’Italia vista da Sud: un’annessione senza dichiarazione di guerra?

di Giuseppe Chiellino - Il Sole 24Ore 31-8-2010
venerdì 3 settembre 2010
Garibaldi? "Un ingenuo avventuriero pronto a correre dove c’è da menare la spada". Cavour? "Un ’figlio di papà col vizio del gioco d’azzardo, che sperpera parte del patrimonio paterno in fallimentari avventure imprenditoriali e viene messo a capo del governo del regno sabaudo dai banchieri inglesi che hanno finanziato le guerre d’indipendenza". La spedizione dei Mille e l’Unità d’Italia? "Un’invasione delle regioni meridionali senza dichiarazione di guerra". Con centinaia di migliaia di morti e milioni di emigranti nei decenni successivi. Un’annessione - la tesi è sostenuta soprattutto da chi aveva coperto l’enorme debito accumulato dai Savoia per le guerre d’indipendenza.

C’è anche chi con questo spirito si appresta a celebrare i 150 anni di unità del paese e raccoglie applausi e qualche critica nelle piazze e nei teatri del Sud, dispensando frecciate alla Lega di Umberto Bossi ma anche ai meridionali che "stanno fermi". "Aspettando, ancora, Garibaldi", come recita il titolo dello spettacolo allestito da Gregorio Calabretta, autore, regista e attore calabrese, proposto in queste settimane nelle città e nei paesi della regione. Un "viaggio in Calabria dall’Unità d’Italia ad oggi" che seduce lo spettatore, giocando con il dialetto e con le immagini per raccontare "ciò che i libri di scuola non dicono sull’Unità". E lo fa attraverso la storia di tre generazioni di una famiglia calabrese, dall’arrivo dei garibaldini nel 1860 all’eccidio dei braccianti di Torre Melissa che reclamavano le terre, nell’Italia repubblicana del 1949.

La perdita d indentità.
Un testo che, spiega l’autore, "fonde in un’unica trama i racconti di tre scrittori, Leonida Repaci (La marcia dei braccianti di Melissa) , Francesco Perri (Emigranti, 1928) e Saverio Strati (Mani vuote) che nel corso del ?900 hanno affrontato il dramma delle lotte dei contadini del Sud e dell’emigrazione massiccia che ha svuotato campagne e paesi del Mezzogiorno. "La sconfitta piú grande per noi meridionali causata dall’Unità - afferma Calabretta in un dialogo immaginario con Garibaldi - è stata la perdita della nostra identità culturale il senso di appartenenza che rende gli uomini orgogliosi della propria terra. Vi sono due modi per cancellare l’identità di un popolo: il primo è di distruggere la sua memoria storica, il secondo è di sradicarlo dalla propria terra. Noi meridionali li abbiamo subiti entrambi".

Il parere degli storici.
"Sono punti di vista di una vulgata ricorrente - osserva Sergio Luzzatto, docente di storia moderna all’università di Torino - ma nella vulgata non c’è solo storia d’accatto. In questo caso, non è tutto falso. Tutt’altro". A parte il giudizio su Garibaldi, che Luzzatto non ha problemi a definire un "avventuriero generoso ma poco accorto e di scarse vedute", lo storico individua nella repressione "indiscriminata e senza prigionieri" del brigantaggio "la ferita piú grave del Risorgimento, che non si è mai rimarginata del tutto. Un fenomeno che la storiografia in 150 anni non ha mai ricostruito, fatta eccezione per la Storia del brigantaggio dopo l’Unità di Franco Molfese". Non c’è dubbio, secondo Luzzatto, che "l’Italia che portava i medici, le scuole, il sistema metrico decimale nell’ex Regno di Napoli portasse anche tante altre cose che sono sparite dai libri di storia". Quanto poi ai rapporti di Cavour con la finanza inglese, "è giusto sottolinearli, ma non devono sorprendere. Non è un segreto il ruolo che i Rothschild hanno avuto in Europa dalla metà dell’800. La loro rete familiare era estesa e intrecciata almeno quanto quella delle grandi dinastie".

Il giudizio su Cavour.
Luzzatto respinge in toto il giudizio negativo su Cavour, "di cui la storia del Risorgimento testimonia l’abilità politica di cogliere il momento e di valorizzare la pulsione unitaria garibaldina". In sintonia, su questo, con un grande esperto di storia risorgimentale e del Mezzogiorno, Giuseppe Galasso, autore tra l’altro della Storia del regno di Napoli di cui uscirà a breve il sesto volume. Galasso non nega le debolezze "libertine" di Cavour. "Ma questo nulla toglie al genio dell’uomo politico".
Gli aspetti finanziari e soprattutto tributari del processo di unificazione, ricorda Galasso, erano stati ben documentati da Francesco Saverio Nitti piú di un secolo fa. "è vero che le casse del regno delle due Sicilie erano piene di soldi che sono serviti ai Savoia per riequilibrare i conti dello stato. Ma era una ricchezza inerte. Improduttiva". Una prova? "Nel 1860 in tutto il Regno di Napoli c’erano non piú di 110 km di ferrovie. In Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto occidentale ce n’erano 1.500". Una ricchezza che i Borbone non utilizzano neppure per difendere il regno.

Tra ribaltonismo e stereotipi.
Miguel Gotor, docente di storia all’univeristà di Torino non è sorpreso dalla "riemersione carsica" degli argomenti antirisorgimentali ma li etichetta come "retorica del ribaltonismo", nella presunta contrapposizione tra storiografia ufficiale e revisionista, "funzionale solo a fare notizia", e guarda soprattutto all’attualità della contrapposizione tra Nord e Sud. "Era fatale che ai localismi ’leghisti’ che trovano una definizione nella questione settentrionale giungesse una risposta identitaria dal Mezzogiorno". Gotor fa riferimento al ’fenomeno’ Lombardo in Sicilia, ma anche alla difficoltà di Pdl e Pd a rappresentarsi come partiti nazionali al Sud. "è normale che ciò accada quando tutto il paese vive un momento di difficoltà, quando c’è, come oggi, una crisi economica mondiale e si fatica a comprendere quale sarà il ruolo internazionale dell’Italia, anche dal punto di vista del prestigio economico". La soluzione, secondo Gotor, non sono però gli autorevoli proclami contro, per esempio, le regioni sprecone: non fanno che "alimentare stereotipi di retorica populista" e sono anche il frutto del "vizietto nazionale della furbizia" spicciola. "Si crea il mostro-Sud proprio nel momento in cui l’industria del Nord non ha piú bisogno della manodopera meridionale. Ma il Sud non è tutto uguale a sé stesso". Cosa devono fare dunque i meridionali per "non stare fermi", come accusa lo spettacolo di Calabretta? "Valorizzare ciò che di buono c’è al Sud. Penso a uomini come Ivan Lo Bello, in Sicilia, ma non solo. E poi tagliare i legami con la criminalità organizzata e buon governo della cosa pubblica".


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