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Dal settimanale albanese "Panorama"

Traffico d’organi dell’Uçk, come reagire di fronte all’inaccettabile?

di Fatos Lubonja
venerdì 14 gennaio 2011
Membri dell’Uçk accusati di crimini, tra i quali anche l’uccisione di prigionieri per il trapianto di organi. Un crimine orrendo, un’accusa rigettata con veemenza da media e politici dalla due parti del confine albanese. Un editoriale tratto dal settimanale albanese Panorama a firma di Fatos Lubonja.

Articolo pubblicato da Panorama
 il 22 dicembre 2010 e selezionato originariamente da Le Courrier des Balkans, traduzione della redazione di "Osservatorio Balcani e Caucaso".

I politici e i media albanesi si sono unanimemente schierati contro il rapporto di Dick Marty, che accusa alcuni membri dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk), guidato da Hashim Thaçi, di crimini in Kosovo ed in Albania. Una presa di posizione dalle caratteristiche cosí irrazionali da stupire gli stessi albanesi, per non parlare degli stranieri. Dirò da parte mia che tanto quanto il rapporto in se stesso, anche la reazione albanese-kosovara merita di essere analizzata.

Una reazione assurda

Cosa vi è di irrazionale in tutto questo? In primo luogo, benché il rapporto sia il risultato di un lavoro d’equipe, lo si è trattato come se fosse opera di un’unica persona, sulla quale sono piovute argomentazioni ad hominem: “un malato mentale”, un “venduto ai serbi”, tralasciando le altre. Il rigetto è continuato anche dopo che il Consiglio d’Europa ha votato all’unanimità il lavoro di analisi. Ritengo che questi due elementi siano sufficienti a ridimensionare le accuse di cospirazione di “nemici esterni” e “nemici interni”.

In secondo luogo, se si analizza ciò che è stato scritto su entrambi i lati della frontiera albanese sulla politica e sugli uomini politici dei due paesi, ci si può rendere rapidamente conto che il confine tra criminalità organizzata e lo Stato è estremamente fluido. Sali Berisha, a capo dell’opposizione nel 2005 non risparmiava accuse di questo tipo rivolte al governo in carica. Al giorno d’oggi l’opposizione non è piú tenera nei suoi riguardi. In Kosovo le persone considerate rivali dell’Uçk sono state spesso oggetto di accuse di brogli elettorali, di corruzione e di crimini, di assassini politici successivi alla guerra in Kosovo. Ecco qualcos’altro su cui vale la pena riflettere, dopo la pubblicazione di questo rapporto.

In terzo luogo, occorre ricordare che il rapporto non è una sentenza giudiziaria, ma apre piste sulle quali occorre indagare, dato che le accuse tirano in ballo fatti inquietanti. Ad esempio: circa 400 persone sono sparite dopo la guerra in Kosovo, tra loro albanesi ma soprattutto serbi. Possiamo essere cosí insensibili da non volerne saper di piú? Alcuni “patrioti” sosterranno che, trattandosi di nostri nemici, non dobbiamo averci nulla a che fare. Ciononostante, questi fatti sono reali e non li si può semplicemente scartare definendoli una fantasia di Dick Marty. Allo stesso tempo, nessun Paese al mondo lascia i morti senza sepoltura (tranne l’Albania di Enver Hoxha quando faceva sparire senza lasciar tracce i suoi dissidenti).

In quarto luogo il rapporto sostiene che si sarebbe organizzato un traffico d’organi con i prigionieri dopo la loro esecuzione. Ne sono accusati gli uomini di Hashim Thaçi, e il traffico si sarebbe tenuto anche in Albania. Un’accusa terribile, certo, quasi incredibile, ma anche in questo caso una riflessione sana non dovrebbe portare a scartare la possibilità di un’inchiesta. Tanto piú davanti ai dubbi condivisi tanto quanto dalle autorità che dagli esperti sia albanesi che kosovari. Serve allora con urgenza fare tutto il possibile per far luce su questa questione per non lasciar credere che abbiamo qualcosa da nascondere.

Da parte mia mi sembra difficile poter controbattere a questi quattro punti, ed è per questo che ritengo la reazione categorica delle autorità albano-kosovare del tutto irrazionale.

Una volontà: preservare il mito dell’Uçk

Perché allora quest’atteggiamento, dato che le quattro argomentazioni da me sollevate non hanno certo incrociato gli animi dei nostri politici? Vi è un punto del rapporto Marty che lo rende inaccettabile per gli albanesi. È ovviamente l’accusa di traffico d’organi, che presenta il Paese balcanico come dominato da mafiosi e trafficanti. D’altronde i media internazionali si sono concentrati esclusivamente sulla questione del traffico d’organi.

Ma allora, se sono convinti che tale accusa è del tutto infondata, perché gli albanesi sotto accusa rifiutano un’inchiesta? Temono che quest’ultima possa rivelare altri crimini, altrettanto pesanti e gravidi di conseguenze? Tutto questo fa nascere altre domande: Perché gli uomini politici albanesi si sentono coinvolti se quasi tutta la storia riguarda esclusivamente il Kosovo? Vogliono forse dimostrare in questo modo non solo il loro attaccamento per quest’ultimo ma anche nascondere interessi e forse legami che avrebbero con questa storia? Domande, a mio avviso, del tutto legittime.

Ogni persona di buon senso, albanesi o stranieri, vede in questa levata di scudi, la volontà di preservare il mito dell’Uçk. Si sarebbe in pieno dentro la schizofrenia albanese, oscillante tra un universo virtuale di eroi e valorosi guerrieri ed il mondo reale, pieno di miseria e ignoranza. Altri si dimostrano piú prosaici: Hashim Thaçi e i suoi sarebbero riusciti ad imporre al popolo kosovaro il loro mito, strumentale al loro potere. Ora, tutto questo basta a spiegare il rifiuto dell’inchiesta? Nel caso fosse cosí, questo delegittimerebbe il diritto degli albanesi del Kosovo ad avere un proprio Stato, non si può quindi decidersi.

Personalmente dubito che il mito dei dirigenti dell’Uçk, sentito o autoproclamato, sia cosí forte tra gli albanesi del Kosovo da essere sufficiente a rigettare in questo modo il rapporto di Dick Marty. Hashim Thaçi è sicuramente un uomo i cui avversari desidererebbero vedere lontano dal potere. Penso alla Lega democratica del Kosovo (LDK) che l’ha accusato di aver fatto uccidere alcuni dei suoi sostenitori, ma ve ne sono anche altri a pensarla in questo modo. E questo fa pensare che non sarebbe la fine del mondo in Kosovo se alcuni ex dirigenti dell’Uçk divenissero oggetto di un’inchiesta di Eulex. E gli albanesi del Kosovo ne sono del tutto coscienti.

Un crimine che sarebbe inedito nei Balcani

Nonostante il peso delle argomentazioni sostenute qui sopra, ritengo che un tale rifiuto rispetto al rapporto Marty derivi dalla paura di vedere lordata l’identità albanese, se l’accusa si rivelasse vera. Questo non sarebbe necessariamente vissuto come un attacco al mito dell’Uçk, ma piuttosto contro l’immagine dell’Albanese in generale, un mito identificatore. Uccidere un essere umano è considerato un crimine dal codice universale dell’umanità, come un “bisogno” dal codice della mafia e come “un servizio alla patria” dal codice nazionalista. Al contrario, prelevare gli organi da un essere umano per venderli supera tutti i limiti e lo spettro nella categoria dei “mostri” capaci del “male assoluto”, mostri che hanno perduto del tutto la loro umanità.

È, a mio avviso, il problema principale che solleva questo rapporto. Se i serbi portano il peso e la vergogna di Srebrenica, anche gli albanesi rischiano a loro volta di avere un caso di coscienza. Questo crimine inoltre sarebbe del tutto inedito nella storia dei Balcani, ed è questo che ci fa paura nella nostra identità. È ciò che ci spinge a considerare un essere umano che si è macchiato di questo crimine orribile come un “mostro”, qualcuno con cui noi non condividiamo piú nessun grado di umanità. Salvo che nel nostro caso, perché abbiamo a che fare con persone che ne rappresentano delle altre. Quindi, lasciare che si svolga un’inchiesta rischierebbe di gettare l’obbrobrio non su una sola persona, ma su un popolo intero. Ed è per questo che coloro i quali non permettono che l’inchiesta avvenga si tramutano automaticamente in nostri difensori, gli altri in nostri nemici.

Anche se ne comprendo la natura e la ragione, anche quest’approccio non mi sembra meno assurdo ed inammissibile. Questa paura di riconoscere il mostro nascosto in fondo a noi, oltre alla nostra irrazionalità, mostra la nostra immaturità. Si sa che la guerra aliena l’uomo. Si sa che l’esca del guadagno, combinata all’ignoranza, disumanizza. Le due assieme possono portare a queste devastazioni.

Abbiamo già visto questo in condizioni “normali”, in Paesi “normali”; cliniche dove alcune persone si fanno estrarre propri organi in cambio di soldi. Sappiamo che bambini vengono rapiti per poi vendere i loro organi. Difficile dire chi è il mostro: un rapitore barbaro che vede l’essere umano solo come un pezzo di carne da vendere o la persona “civilizzata” che accetta di pagare in cambio di un organo ottenuto in maniera poco ortodossa?

L’accusa è certamente molto pesante, ma rifiutare un’inchiesta, che la renderà caduca o proverà invece la sua veridicità, sarebbe ancora peggio, perché è come se si rinchiudesse dentro sé un mostro che invece si potrebbe far uscire e condannare. Questo rifiuto ci rende tutti colpevoli e io credo che la maggior parte degli albanesi non vogliono sentirsi coinvolti in questo genere di crimini. Ma non si fermerebbe qui, perché vivere nel dubbio che alla guida del paese vi siano criminali capaci di questo genere d’azioni, instilla una minaccia nello spirito di tutti gli albanesi. Davide lo diceva bene, prima di Cristo: Abyssus abyssum invocat, l’abisso richiama l’abisso.


Nelle foto, in alto Monumento ai caduti dell’Uçk (da "Courrier des Balkans"), al centro l’autore dell’articolo Fatos Lubonja (foto da "Osservatorio Balcani e Caucaso") e in basso due foto del Monumento ai caduti dell’Uçk (da pbosnia.kentlaw.edu)


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