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DOCUMENTO SUL FENOMENO "BRIGANTAGGIO"

Il brigantaggio fu sempre presente sul suolo italiano: non deve pertanto essere identificato con i movimenti di massa a carattere antipiemontese ed antiunitario verificatisi dopo il raggiungimento dell'unità. Universalmente noto persino ai viaggiatori stranieri, ai quali i briganti apparivano spesso come un elemento folcloristico dell'Italia centro-meridionale, tale fenomeno colpiva negativamente il comune sentimento morale di buona parte della popolazione locale, che condannava apertamente la ferocia dei furti, degli assassinii, dei rapimenti di persone a scopo di estorsione, nonché dei saccheggi indiscriminati messi in atto dalle varie bande nascoste nei boschi o sulle zone montane spesso impervie ed inaccessibili.
E' quanto mostra certa iconografia dell'epoca, come il dipinto a olio su tela dal titolo "Brigantessa ferita" (1837) conservato nel Palazzo reale di Napoli e a firma di Luigi Rocco.Il tema della redenzione muove dal contrasto tutto romantico fra il bene e il male, fra l'elemento religioso e quello delittuoso, fra i sentimenti "buoni" e quelli "cattivi" , rappresentati i primi da un frate, che riconcilia con Dio l'animo pentito della brigantessa morente tra le braccia di un marito dall'aspetto teso e fiero. Naturalmente nella fase preunitaria l'appellativo generico di "briganti", subito utilizzato dalle autorità consentite, tendeva a sottolineare al tempo stesso il collegamento effettivo coi briganti, la reale condizione di "fuorilegge", nonché i modi spesso feroci e furfanteschi messi in atto dai nuovi adepti, non molto dissimili dai comportamenti abituali ai delinquenti comuni.
Con l'unificazione d'Italia il brigantaggio ebbe il piú ampio sviluppo, a partire per lo meno dal settembre del 1860, allorché i movimenti contadini, repressi con durezza dalla interessata borghesia agraria, si saldarono con il legittimismo borbonico a sostegno di una politica antiunitaria e quindi sostanzialmente reazionaria. Fu cosí che la gente dei campi affamata, esasperata, respinta ai margini dello stato (tra l'altro la legge elettorale rigidamente censitaria li escludeva dal diritto di voto) rispose con una sorta di generale ribellione. "Priva come era di autentici obiettivi politici, non disciplinata da una direzione, stimolata dalle atrocità della repressione, la violenza contadina non poteva essere che indiscriminata, furiosa, anarcoide: non poteva assumere che le forme del brigantaggio " (A.Piccioni): e ciò per un ampio periodo di tempo tra l'autunno del 1860 e la fine del 1864, protrattosi fino agli inizi del 1870.
Il quadro era complicato dall'appoggio dato dallo Stato pontificio al legittimismo borbonico. Diversi sacerdoti si trovarono cosí coinvolti in azioni a sostegno del brigantaggio e vissero per questo una dolorosa contraddizione con le idealità pacifiche della religione cristiana.
I contadini, spinti dai proclami filo-borbonici, non tardarono ad unirsi in bande numericamente consistenti in Basilicata, nel Molise, in Campania e nelle Puglie.
In Sicilia il fenomeno fu assai diffuso, ma restò di tipo tradizionale e le bande non assunsero mai la struttura e le dimensioni di quelle del continente.
Il dipinto del 1861 di Francesco Saglieno, conservato a Napoli nel Museo di Capodimonte illustra un episodio realmente accaduto: reparti di bersaglieri e della Guardia Nazionale attaccano una banda di briganti in una impervia zona appenninica nei pressi di Civita Castellana. E' evidente che lo lotta finí ben presto per assumere le forme di una sanguinosa guerra civile. Infatti dal giugno 1861 al dicembre 1865 i briganti uccisi furono 5212, quelli arrestati 5044, quelli costituitisi 3597, per un totale di quasi 14000 briganti messi fuori combattimento.
A queste cifre andrebbero aggiunte quelle relative ai caduti delle forze repressive ed alle vittime civili della guerriglia e delle rappresaglie, rimaste sconosciute ma certo molto elevate.
(Documento: L'interrogatorio del brigante).


Il brigantaggio fu certamente il fenomeno legato alle misere condizioni dei contadini, ma trovò appoggi presso tutte le categorie sociali del Mezzogiorno, evidentemente interessate a limitare il controllo dei piemontesi sull'Italia meridionale. L'autobiografia del capo brigante Carmine Crocco Donatelli, trascritta dal capitano Eugenio Mazza, è particolarmente chiara a questo proposito:
"A molti potrà apparire strano come la mia banda, cosí numerosa e formidabile abbia potuto spadroneggiare dal 1861 al 1864 e che, nonostante l'accanito inseguimento della truppa, abbia io potuto attraversare incolume il territorio che separa la Basilicata da Roma. Alla nostra salvezza contribuirono in massima parte i signori col loro potente ausilio, od almeno col loro silenzio. Non fu mai tradito; molte di queste persone non mi tradirono per paura benché io non li minacciassi, ma molte altre mi diedero ricovero per interesse ed altre ancora per cupidigia. Altro fattore che contribuí moltissimo il nostro favore fu lo spionaggio. I nostri confidenti erano contemporaneamente informatori del governo e stipendiati quindi dallo Stato, di guisa che eravamo quasi sempre informati delle mosse della truppa. Per effetto del numero abbastanza grande di componenti le bande e piú ancora per la efferatezza di molti di noi, spesso trovammo ostilità in quella plebe, dalla quale tutti eravamo usciti; ma in generale essa fu spesso di potente ausilio in tutte le nostre imprese. Cotesto aiuto, quasi sempre spontaneo, era conseguenza dell'odio innato del popolo nostro contro i reggi funzionari e contro i Piemontesi, causa non ultima il modo sprezzante col quale gli ufficiali usavano trattare le popolazioni, facendo ad ogni erba un fascio."


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