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La storia bandita alla ribalta in Basilicata

Quadri di popoli in armi e in preghiera, musiche di terrore e di festa, luce di luna o bagliori di fuoco in un castello in fiamme. Siamo ai margini della storia, proiettati d’un tratto nei luoghi dell’immaginario che prendono vita, che trovano vita, solo in teatro.
Un teatro che ha per scena gli alberi e per sipario la notte.
Appare l’invisibile: trecento persone in costume ripercorrono l’epopea dell’Insorgenza del popolo lucano negli stessi luoghi che furono teatro di quegli eventi.
La grande prima del cinespettacolo La storia bandita ha avuto luogo in Basilicata, nella foresta demaniale della Grancia, vicino al capoluogo lucano. Tale evento ha rievocato all’aperto, in uno splendido scenario naturale, i fatti storici legati al brigantaggio – sia antifrancese che antisabaudo – attraverso il racconto di Carmine Donatelli Crocco, generale dei briganti, che è il personaggio chiave attorno al quale è costruita la vicenda umana e storica di una comunità.
Un poeta della storia lucana, Carlo Alianello, lo descrive mentre appare al Castello di Lagopesole «alto, massiccio, enorme, dalla loggia sulla plebe tumultuante, che tuona, battendosi il petto, sotto la grande barba corvina: "Guagliò, mò fernisce la rivoluzione dei galantuomini e comincia quella della povera gente… Comincia qua, la rivoluzione delle pezze al culo!" E l’ululato della folla, furente e tenera, impazzita dietro quel gigante nero, che riconosceva per suo, figlio e padrone.»
Tutto in questa terra ci parla di loro…i "briganti". Dalle immagini ci appaiono tristi e scuri in volto, vestiti con il costume del paese, con sopra un mantello di lana nera che li avvolge tutti. Alla cintola, portano stretta, assicurata, la loro salvezza: il revolver e il pugnale. Spesso è un coltello - famoso quello fatto nel paese di Avigliano - di quelli a scatto, cosí facile, veloce da aprire e nascondere in una mano, pronto per essere usato. La schioppetta la portano a tracolla, o la tengono su un cavallo, rubato chissà dove. Non c’è luogo, in questa terra stanca, che non li ricordi, che non ci parli di loro, delle loro imprese: il Castello di Lagopesole, il Monte Carmine, il Monte Vulture, i boschi di Monticchio. I ponti dove aspettavano, pazienti, che arrivasse il nemico, i boschi che gli offrivano rifugio, le grotte, i pagliai, i casoni, i paesi invasi o liberati, a seconda di chi legge queste storie di uomini.
Uomini che decisero di combattere la guerra dei cafoni, la guerra di chi sapeva da che parte era il bene. Dalla parte di Dio, dei bambini, delle donne e non dalla parte dei signori, del re "galantuomo", che metteva nuove tasse e incamerava i beni dei conventi, dei preti liberali che gli dicevano che ciò in cui avevano sempre creduto era solo superstizione, fede di ignoranti.
La civiltà contadina si difendeva e difendeva i propri valori, la casa, la famiglia, andando a combattere con Crocco, con Ninco-Nanco, con Coppa, con i fratelli Volonnino, con Schiavone, feroci, spietati…forse, ma uomini che parlavano come loro, che li capivano, che credevano nello stesso Dio, quello dei poveri e degli emarginati. Nati nelle stesse case loro, con i muri anneriti dal fumo, gli animali sotto al letto, a fargli compagnia, e una schiera di fratellini e sorelline da proteggere e sfamare.
Molti di loro avevano già combattuto contro i francesi nel 1799 e il cinespettacolo riesce a riunire i due eventi tramite un flash-back nella storia della rivoluzione napoletana: dopo le danze attorno all’albero della libertà arrivano i francesi. E’ un arrivo fatto di eccidi, di fucilazioni mentre la voce di Crocco narra «per quelli che si opponevano ai francesi solo disprezzo…e per disprezzo ci chiamarono briganti!».
L’attenzione si ferma soprattutto su Viggiano, un piccolo centro della Basilicata dove la repressione operata dalle armate francesi e dai giacobini lucani fu particolarmente violenta e sanguinosa. Vennero uccise nell’agosto del 1806 oltre 100 persone: vecchi come Giuseppe Nigro di 77 anni, donne come Teresa Torzillo di 72 anni, e bambini come il piccolo Pasquale Durante di soli 11 anni.
Nelle piú recenti indagini storiografiche sul periodo delle Insorgenze, si è cercato di far luce su eventi e uomini spesso rimasti ai margini della storia, cui finora era stato riservato solo l’appellativo, spregiativo, di "briganti". Il grande storico lucano Tommaso Pedio, recentemente scomparso, pur essendo assolutamente lontano da simpatie borboniche, ha fornito una lettura rinnovata dei fatti, opponendosi con forza e determinazione all’omologazione del pensiero unico imperante in ambito accademico. «Guerriglieri – scriveva Pedio - sono stati qualificati coloro che in Spagna, nel 1808, si opposero con le armi alle armate napoleoniche e le loro gesta sono state immortalate nelle tele di Francisco Goya. Patrioti sono stati considerati coloro che seguirono nel 1809 Andrea Hofer e il loro canto di guerra è divenuto l’inno nazionale delle popolazioni tirolesi. In Italia Meridionale, invece, chi nel 1806, rispondendo all’appello degli inglesi ed a quello del proprio sovrano, si oppose all’invasore, è stato definito e continua ad essere definito brigante. I nostri avversari che osano chiamarsi patrioti […] ci gridano briganti.»
Ma il disprezzo, l’oppressione, l’imposizione violenta di nuovi, astratti principi, fanno risorgere le ragioni del riscatto. Il riscatto del mondo degli umili, dei contadini, abituati a dormire con il Crocifisso sopra il letto, dei briganti, nascosti tra gli alberi e le montagne.
E proprio da quelle montagne il cinespettacolo fa risorgere la loro voce. Vaporano figure di uomini miste a maschere di cartapesta raffiguranti i simboli di un passato popolato di lupi, serpenti e aquile. Esplodono nelle musiche gli spari dei cannoni, inizia la battaglia del popolo dei cafoni.
Cinema e teatro si fondono in un grande evento spettacolare, capace di raccontare la storia con la leggerezza di una favola. La materialità dell’attore in scena, l’ingombrare delle masse diventano la scena corale di un film capace di annullare la materia in un gioco di luci, di nebbie, di effetti speciali.
Questa dimensione spettacolare si avvale di musiche originali, firmate da importanti artisti come Lucio Dalla e Eddy Napoli. Le comparse – volontari di ogni età – utilizzano voci di attori di fama internazionale come Michele Placido e Orso Maria Guerrini.
Ma soprattutto, contribuisce alla creazione della spettacolare atmosfera, l’impiego delle piú moderne tecniche di effetti speciali, di proiettori ad alta potenza, di potenti sorgenti di suono distribuite sull’intera scena, di fuochi ed effetti pirotecnici, tra cui lo spettacolare incendio del castello di Brindisi di Montagna che fa da sfondo alla scena. La regia dello spettacolo è stata curata da Victor Rambaldi, la direzione artistica da Jean Francois Touillaud.
Dal giugno 2000 il cinespettacolo sarà il cuore pulsante del Parco Storico Rurale e Ambientale della Basilicata, un progetto della Società Piani e Programmi di Azione locale, fortemente voluto e realizzato grazie all’impegno di Gianpiero Perri, che – attraverso l’intervento delle istituzionali locali, il cofinanziamento dell’Unione Europea, della Regione Basilicata e della Comunità Montana Alto Basento – ha saputo dar vita al primo Parco Storico in Italia.
Sulle orme del Parco di Puy du Fou in Vandea, sarà possibile rivisitare in chiave epica il mondo contadino attraverso il recupero della cultura materiale, i prodotti della terra, la ricostruzione fedele degli ambienti, in un’ottica di sviluppo integrato capace di coniugare cultura, ambiente, storia ed economia.
Capace di sollecitare la creatività di una comunità, di valorizzarne i talenti artistici, di promuoverne il rilevante patrimonio naturalistico-ambientale, la tipicità delle produzioni locali e i beni culturali presenti, di dar vita ad un grande laboratorio dove sperimentare la capacità di organizzare sul territorio un’offerta turistica in grado di veicolare innanzitutto una forte identità locale.
Ma soprattutto, il cinespettacolo e il parco della Grancia intendono far riemergere quella «storia bandita» dall’oscurità cui era stata costretta, evocare una atmosfera in cui ripercorrere i luoghi della memoria per recuperare il senso dell’identità e dell’appartenenza.

Antonella Grippo


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