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L'Internazionale n. 94, 01.09.1995©

Antonio Bassolino o l’eucaristia napoletana

MARIE-CLAUDE DECAMPS E EMMANUEL DE ROUX , LE MONDE, FRANCIA

Ex membro dell’apparato del Partito comunista italiano, il sindaco di Napoli tenta di redimere la sua città. Vuole restituirle la bellezza, restaurare l’autorità amministrativa, sviluppare l’industria del turismo. Gli inviati di Le Monde sono andati a controllare

NAPOLI, 8 LUGLIO 1995

La sfera elastica della mozzarella cede sotto la punta del coltello. Lui la taglia con devozione e la inghiotte come se fosse un’ostia. Sono le undici di sera, in un ristorante del centro di Napoli. Raggiante, Antonio Bassolino, il nuovo sindaco, celebra con il piú napoletano dei formaggi la sua comunione con la “sua” città. Quasi una professione di fede. E quale migliore introduzione di questa lattea eucarestia napoletana ai misteri di una città, che, dopo aver sofferto la sua passione nelle mani di politici avidi, vive da un anno l’ebbrezza della resurrezione?
Antonio Bassolino, quest’uomo dall’aspetto rude venuto dal sobborgo di Afragola, confessa con una smorfia di felicità, fra un boccone e l’altro: “Napoli mi ha cambiato”. Salvatore della città, quest’uomo d’apparato poco conosciuto dal grande pubblico, membro ortodosso del Partito comunista italiano di cui ha seguito la linea maggioritaria quando questo, abbandonato il marxismo, si è trasformato in Pds? Redentore, colui che ha conquistato la poltrona di sindaco, diciotto mesi fa, al termine di una campagna molto colorita in cui aveva come avversaria la nipote del Duce, Alessandra Mussolini, che, con le mani sui fianchi, sembrava la riedizione di sua zia Sophia Loren nei panni di una pescivendola del porto?
Difficile crederlo, a meno che nella Napoli dell’alchimista Raimondo Di Sangro, questa Napoli dagli equilibri delicati e dalle perversioni raffinate, che coltiva un “barocco esistenziale”, come ci dirà Jean-No’l Schiffano, direttore dell’Istituto francese e primo francese ad aver ottenuto la cittadinanza onoraria della città, non sia accaduto un miracolo. E che, gettando insieme la maschera, l’ex membro dell’apparato comunista e la città devastata si siano salvati a vicenda, generando ciascuno la nuova identità dell’altro in una sacra unione.
Questo matrimonio di convenienza era stato deciso dallo stato maggiore del Pds nell’estate del 1993. Mentre avveniva il sacco di Napoli, a cui avevano allegramente partecipato tutti i “viceré” del vecchio regime, a cominciare dal democristiano Gava, il liberale De Lorenzo e il socialista Di Donato, il Pds si era lasciato indurre in tentazione. Bisognava fare pulizia nel partito. Fu mandato Antonio Bassolino.
“Era un periodo terribile”, dice, “era venuta a mancare anche l’acqua e il latte era avvelenato. La classe politica aveva speculato su tutto, dai cimiteri alle immondizie. Napoli deteneva due record, quello della disoccupazione e quello dei debiti, che raggiungevano la cifra piú alta di tutta la penisola. Anche il Mondiale di calcio si era concluso con uno scandalo: 850 miliardi di lire dilapidati in attrezzature sportive incompiute, inutilizzabili e che avevano sfigurato la città”.
La sua candidatura a sindaco è venuta naturalmente, tanto piú che non c’era nessuno a contrastare l’ondata di estrema destra.
La decisione di tenervi il summit dei capi di Stato occidentali del G7, nel luglio del 1994, sarà per la città l’occasione di un rilancio. Per Bassolino e per Napoli, dopo il tempo della ragione, sarà quello della passione. Dando prova di molto intuito, questo sindaco cordiale, piú abile tattico che astratto intellettuale, saprà ridare fiducia ai napoletani. L’impresa era audace, ma, aggiunge Bassolino, “mi ero fissato due priorità: restaurare la legalità amministrativa e restituire agli abitanti delle ragioni per sperare”.
Accadono cose mai viste nella città simbolo delle mazzette e delle “raccomandazioni”: viene insediata una commissione di disciplina; dieci importanti dirigenti amministrativi sono pregati di andarsene; seicento impiegati vengono sospesi e decine di funzionari licenziati per assenteismo, altra piaga del Mezzogiorno. Incuriositi, i napoletani drizzano le orecchie. Con la preparazione del G7, non potranno fare a meno di applaudire. La città dispone di 55 miliardi di lire per condurre a termine un’operazione che sembra impossibile: grandi piazze storiche sono restituite alla loro bellezza, libere dai parcheggi illegali; alcune strade vengono rifatte, il palazzo reale è restaurato. “Piú che un’operazione di seduzione per i turisti”, dice Antonio Bassolino, “tutto questo è stato vissuto come un’autentica rivoluzione culturale. Vecchi napoletani si sono fatti portare in piazza Plebiscito, che non avevano mai visto senza macchine. Mia figlia di diciott’anni vedeva per la prima volta scorrere l’acqua nelle fontane della città; altri hanno esplorato dei quartieri in cui prima non osavano mettere piede. Era una liberazione!”.
Restituire ai napoletani l’orgoglio della loro città attraverso la riscoperta del suo patrimonio non era un’idea nuova. Il sindaco non ha fatto che riprendere e prolungare con intelligenza un’iniziativa privata lanciata nel 1992 da Mirella Barracco.
Sotto i delicati affreschi del suo ufficio di fronte al mare, dove s’intrecciano merletti e rondini, questa donna di gusto, volitiva e appassionata, che appartiene con suo marito alla tradizione dei grandi mecenati italiani, racconta com’è nata la sua fondazione “Napoli 99”: “Per farla finita col malessere dei napoletani e con il loro rapporto sadomasochista con la classe politica, che sapeva solo prendere senza dare niente alla città, ci siamo impegnati nell’unico campo lasciato libero perché non rendeva nulla: la cultura”.
Il progetto consiste quindi nel riconciliare Napoli e i suoi abitanti attraverso un’operazione porte aperte. Parallelamente, viene lanciata l’idea di far adottare i monumenti dalle scuole della città: 140 istituti scolastici si impegnano nell’operazione, i ragazzi, entusiasti, si trasformano in guide erudite. Il primo anno ci saranno 5mila visitatori, l’anno successivo 50mila. La terza edizione, distribuita su quattro week-end di maggio, è un trionfo: un milione di curiosi si accalcano per ammirare bellezze fino a quel momento inaccessibili. La scommessa è vinta: “Quale straordinario motivo di orgoglio, per questa città al limite del Terzo mondo, sentir parlare di sé, per una volta in positivo, in apertura del telegiornale!”.
“A Napoli, divorata dal rumore e dal traffico, la monumentalità dei palazzi e il silenzio delle chiese erano indispensabili per l’educazione civica dei piú giovani”, osserva ancora Mirella Barracco. Enza e Susi, guide gratuite e allieve di una scuola commerciale della Sanità, un quartiere “difficile”, sono lí a testimoniarlo. “L’altro giorno, una équipe televisiva straniera ha simulato uno scippo nel quartiere per illustrare un reportage sull’immagine negativa di Napoli, e tutti i passanti, indignati, l’hanno inseguita trattando i reporter da bugiardi!”, raccontano con orgoglio.
Seguire queste due ragazze sui vecchi selciati di lava, nel dedalo denso di odori della Sanità, è come fare un tuffo direttamente nelle viscere di Napoli, con i suoi piccoli spacciatori di droga, la sua piccola delinquenza onnipresente, le sue strade dissestate, ma anche le sue meraviglie: gli enormi palazzi del Diciassettesimo e Diciottesimo secolo, con i loro atrii ornati di stemmi e le scale monumentali che danno sul cortile, dove abitano innumerevoli famiglie. I muri sono spesso fatiscenti, c’è la biancheria stesa alle finestre, le pattumiere traboccano e, all’ingresso del palazzo di Luisa Sanfelice, un macellaio mette in mostra frattaglie e visceri sanguinolenti. Eppure anche qui regna un’aria di splendore pur nell’anarchia del traffico: le chiese di Santa Maria della Sanità e Santa Maria dei Vergini sono state restaurate.
Scommettere sul patrimonio culturale - scommessa che può sembrare paradossale per una città spesso priva del necessario - non potrebbe essere una vana speranza? Prudente, Susi, di diciott’anni, la prima della sua famiglia che sia andata a scuola, riconosce che “adesso va un po’ meglio”. Pensa di cercarsi un lavoro nel turismo, è un segno.
Un segno di cui Jean-No’l Schiffano non aveva bisogno per sperare. “Nella grammatica napoletana”, dice, “il passato è già contenuto nel presente, ed è ovvio che il futuro non esista”. L’autore appassionato delle Cronache napoletane fa risalire all’unità italiana le disgrazie di Napoli - “Napoli non doveva soppiantare Roma, la nuova capitale che all’epoca era cinque volte meno popolata. Bisognava assisterla per tenerla meglio al guinzaglio” - e predice un grande destino europeo alla città “piú tollerante del mondo, che non ha avuto né un ghetto né l’inquisizione. Napoli ha mancato l’appuntamento con l’industrializzazione, forse è una fortuna per lei: potrà entrare direttamente nel Ventunesimo secolo delle nuove tecnologie”.
Alcuni considerano questo discorso troppo ottimista. Ma va d’accordo con quello che dice il sindaco. Al posto della zona industriale di Bagnoli, dove la siderurgia è solo un ingombrante ricordo, sorgerà presto un parco di 130 ettari con spiagge, alberghi e un centro per conferenze e ricerche tecnologiche. Nella zona orientale, verso Ponticelli, Antonio Bassolino vuole spostare le industrie petrolifere, molto inquinanti, “che sono altrettante bombe per Napoli”, per sostituirle con piccole industrie legate al porto.
Infine vuole accelerare lo sviluppo urbano e affrontare il problema della periferia della città, particolarmente degradata: “Trecentocinquanta miliardi di lire saranno sbloccati nei prossimi mesi per riabilitare il patrimonio esistente. L’obiettivo, difficile da realizzare, sarà rinnovare il centro, cioè la parte piú povera della città, senza mettere in fuga la popolazione com’è successo a Venezia o a Roma. È indispensabile mantenere sul posto le migliaia di artigiani che ci lavorano”.
Gli artigiani in questione sono un po’ scettici. E, all’ombra di San Gregorio degli Armeni, fra i suoi angeli di terracotta e le sue statuine del presepe - una vecchia arte napoletana -, Giuseppe Cesarini, erede di una famiglia di scultori, non nasconde i suoi dubbi. Certo, ammette, il sindaco ha dato un nuovo slancio, ma i politici, a Napoli, non sono mai stati avari di promesse non mantenute: “Si parla di aiutare gli artigiani, ma ciarlatani e contraffazioni in plastica invadono tranquillamente il mercato”. Suo figlio Gigi, un ragazzino di tredici anni dagli occhi scuri, si fa la mano con il pennello in attesa di succedere un giorno a Giuseppe, ma con quale futuro?
Da parte sua, padre Rastrelli, il gesuita che veglia su quel capolavoro barocco che è la chiesa del Gesú Nuovo, è ancora piú severo. I poveri, li conosce da molto tempo. È autore di un programma per la lotta contro l’usura, che provoca dei disastri. In quattro anni, grazie a lui, 550 famiglie sono riuscite a liberarsi dei loro debiti - una goccia d’acqua in una città dove un abitante su quattro è ufficialmente disoccupato. “Che cos’ha fatto Bassolino per i poveri?”, tuona. “La politica del sindaco è fatta solo di lustrini culturali e prodezze mediatiche. Oggi assistiamo a un paradosso: un progetto capitalista elaborato da comunisti”.
Alcuni hanno avuto un fremito sentendo il sindaco dichiarare: “Con i nostri 60mila visitatori e i 2mila posti letto, siamo ad anni luce da Venezia”. Che idea asfissiare la città con un turismo frenetico! Tanto piú che il nuovo assessore alla cultura, Renato Nicolini, già ideatore a Roma della popolare “estate romana”, ricollegandosi alla posizione del sindaco, parla di fare piazza pulita di “Pulcinella e tutto il folklore” per sostituire “alla siderurgia una vera industria del turismo”.
Stiano tranquilli, ironizza l’avvocato d’affari Claudio Corduas, il cambiamento richiederà del tempo! E ricorda l’osservazione di un sindacalista all’idea del progetto turistico del sindaco: “Volete trasformare gli operai in camerieri?”. In una città, aggiunge, dove un vigile urbano negligente a cui spiegano che è un cattivo servitore dello Stato risponde “Non sono il servitore di nessuno”, la salvezza può venire soltanto da un “allineamento a termine all’ideologia europea di servizio dello Stato”.
Ma come coinvolgere in questo programma la consistente frangia della popolazione che vive totalmente al margine? La “napoletanità” a cui inneggia con piacere una classe dirigente locale che si trova a suo agio a Londra come a Parigi è un ostacolo per i piú poveri, che si esprimono in dialetto e sono incapaci di seguire un programma scolastico. “A Napoli, i diseredati non credono piú nella scuola come mezzo per elevarsi socialmente; abbandonati a sé stessi, trovano enormi difficoltà a integrarsi in una società moderna”, commenta la professoressa Mena Barbiero, esperta di psicologia infantile. “L’iniziativa di Mirella Barracco è importante perché rafforza i legami di questa gente con la città, ma ha dei limiti: nei quartieri piú degradati non ci sono monumenti da adottare e la disoccupazione resta il problema numero uno”.
Questa deriva finisce con l’ingrossare le file della potente Camorra, l’organizzazione criminale locale che, fra la droga, il mercato dei falsi e il gioco clandestino, assicura la sopravvivenza di molti e propone un modello “illegale” che sarà difficile combattere. “Se a Napoli non c’è un’esplosione sociale”, afferma il professor Lamberti, nuovo presidente della Provincia, “ciò si deve gran parte a questa valvola di sfogo. Là dove per una parte della popolazione è economicamente impossibile vivere nella legalità, la Camorra offre 44mila posti di lavoro nel contrabbando di sigarette e 7mila nei parcheggi abusivi!”. (C. P.)


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