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L'Internazionale n. 188, 04.07.1997©

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La Sicilia cerca lavoro

CELESTINE BOHLEN, THE NEW YORK TIMES, STATI UNITI

Ufficialmente un terzo dei siciliani è disoccupato. In realtà trova impiego nell’economia sommersa. L’integrazione economica europea cambierà qualcosa?

Nel Mezzogiorno un lavoro su tre è al nero, contro una media nazionale di uno su sei. La Sicilia, con il suo 30 per cento di disoccupati, non fa eccezione. E lo Stato, sebbene danneggiato a livello fiscale, è costretto a chiudere un occhio per non sconvolgere un precario equilibrio: “Il lavoro nero è tollerato perché è un ammortizzatore della crisi sociale”. Da Paternò, in Sicilia, reportage del New York Times.
PATERNO’, 18 GIUGNO 1997
Sulla carta, questa cittadina alle pendici dell’Etna dovrebbe essere sul punto di una rivolta sociale. La disoccupazione è ufficialmente al 30 per cento. I fallimenti si susseguono, la stretta creditizia non dà tregua e, all’avvicinarsi dell’estate, la gente come Antonio Di Stefano si chiede come farà a sfamare la famiglia.
A 32 anni, Antonio Di Stefano, sposato con tre figli, non ha un lavoro fisso da parecchio tempo. L’attività di raccogliere le famose arance rosse di questa regione è svanita con l’arrivo sul mercato di produzioni piú economiche dal Nordafrica. Ha provato con l’edilizia, ma lo scoppio dello scandalo nazionale della corruzione ha messo fine a tutti i progetti di lavori pubblici che costituivano la linfa dell’industria delle costruzioni.
Anche spostandosi a Livorno, a Milano e in Germania, ha potuto trovare solo lavori temporanei. E tuttavia non si ribella. Fa parte delle centinaia di migliaia di siciliani che tirano avanti con lavori al nero, a giornata o in piccole imprese.
Qui, nella sponda meridionale dell’Europa, in una regione che economicamente è sempre stata indietro rispetto al resto dell’Italia, dove la mano morta della mafia ha contribuito a soffocare la nascita di un’imprenditoria locale, la gente come Di Stefano tira avanti come può e resta al suo posto, senza molte speranze di migliorare la propria condizione economica.
E il modo con cui lo fa offre indicazioni di ciò che aspetta l’Europa nel momento in cui si accinge a tagliare lo Stato sociale e ad alzare le tasse.
Una rete di protezione alternativa
Mentre l’Italia, come il resto dell’Europa, è alle prese con il difficile compito di ridurre la spesa pubblica, sempre piú gente resta fuori dalle maglie di quello che gli italiani, usando il termine inglese, chiamano il loro “welfare state”. Una rete di protezione che è invece offerta dalla chiesa, dalla famiglia e, in misura crescente, da quei datori di lavoro che propongono solo impieghi al “nero” - esenti da tasse o contributi a fini assistenziali.
Nessuno sa dire come reagirà l’economia sommersa quando l’Italia ammorbidirà la sua legislazione del lavoro in modo da consentire all’industria di essere piú competitiva sul piano internazionale. Ma se il passato è di prologo al futuro, è del tutto probabile che in Sicilia l’economia sommersa continuerà a esistere, se non addirittura a espandersi, proprio come ha fatto per generazioni.
“Trovo lavoro un po’ qua e un po’ là, quanto basta per portare da mangiare a casa, ma non è che lavoro tutti i giorni”, mi ha detto in tono sconsolato Di Stefano, mentre con la moglie Giuseppina si trova sul sagrato della chiesa dello Spirito Santo, dove il sacerdote e dei volontari li aiutano a risolvere situazioni difficili come il pagamento di una bolletta elettrica.
Nessuno a Paternò crede che un terzo della forza lavoro sia realmente senza occupazione, nemmeno Giacinto Corsaro, capo del locale ufficio di collocamento, anche se il suo ultimo rapporto segnala 13.380 disoccupati su una popolazione attiva che si aggira sulle 38mila persone. “Se questi dati fossero veri, sarebbe terrificante. Vanno dunque presi con le pinze”, ha dichiarato Corsaro. “Esiste una situazione di lavoro illegale di massa, e sempre esisterà”.
Un lavoro su tre è al nero
Secondo un recente studio, che ha scioccato persino gli esperti, nell’Italia meridionale - il Mezzogiorno - un lavoro su tre sarebbe al nero, contro una media nazionale di uno su sei.
“La differenza è che in Sicilia il lavoro nero è solitamente l’unica occupazione che la persona che lo pratica ha a disposizione, mentre nel Nord si tratta spesso di un secondo lavoro”, ha spiegato Giacomo Scarciofano, che dirige la delegazione regionale della Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil), il maggiore sindacato del paese.
Messi alle corde dalla competizione globale, gli elaborati sistemi europei di protezione sociale - dai generosi permessi di maternità alle pensioni di anzianità, le lunghe ferie pagate, l’assistenza medica e i munifici stipendi pubblici - sono ora attaccati da piú parti come fardelli che i governi non possono piú permettersi di trascinarsi dietro.
Per molti di quanti vivono qui, in Sicilia orientale, le misure di protezione sociale rappresentano un’ancora di salvezza finanziaria che consente alle famiglie di tirare avanti in tempi di crisi. Tuttavia, per quanti non hanno mai avuto un lavoro stabile, molti di questi benefici - con l’importante eccezione dell’assistenza medica gratuita - semplicemente non esistono. I sussidi di disoccupazione scadono dopo sei mesi, e sono riservati principalmente ai lavoratori stagionali che lavorano tra i cento e i centocinquanta giorni l’anno.
“Chi sta peggio di tutti sono i giovani disoccupati che non hanno niente”, ha osservato Corsaro, lamentando amaramente come il suo ufficio, come tutti gli altri uffici di collocamento della penisola, non sia messo in condizioni di assistere i senza lavoro nella ricerca di un’occupazione.
Come molti altri nella loro stessa situazione, i Di Stefano hanno imparato ad arrangiarsi. Quando non hanno potuto piú permettersi l’affitto del loro appartamento di tre stanze, semplicemente hanno smesso di pagarlo. A causa delle rigide leggi a tutela degli inquilini, il proprietario dell’appartamento non è riuscito a sfrattarli. E non avendo i soldi per pagare le medicine, la signora Di Stefano ha di recente portato i figli in ospedale per cure di pronto soccorso, che sono gratuite.
Stando ai dati dell’ufficio nazionale di statistica, la percentuale di giovani tra i diciotto e i trentaquattro anni che vivono con i genitori era del 51,8 per cento nel 1990; nel 1996 è salita al 58,5 per cento. Le statistiche del 1996 hanno anche mostrato per la prima volta che il numero dei poveri è piú alto tra i giovani che tra i vecchi.
A cavallo tra Ottocento e Novecento, e poi dopo la Seconda guerra mondiale, a migliaia i siciliani lasciarono la loro isola per andare a cercare fortuna altrove, nel Nuovo Mondo, nell’Italia settentrionale, in Germania. Ora, però, all’orizzonte non c’è nessuna terra promessa.
“E’ la legge dei mercati che determina il fenomeno del lavoro nero”, ha detto Scarciofano. “Quindici anni fa, qui ce n’era molto meno, grazie a una situazione di quasi piena occupazione. Ma in condizioni di crisi economica, diventa piú facile ricattare i lavoratori e spingerli ad accettare lavori non tutelati dalla legge”.
I lavoratori non sono i soli a subire il lavoro nero. Costretto a subirlo è anche lo Stato, che, pur perdendo entrate fiscali, deve chiudere un occhio per timore di sconvolgere il precario equilibrio sociale che ne risulta. Nel 1996, su centomila denunce di lavori irregolari, solo cinquemila sono state esaminate, secondo i dati dei sindacati. “Il lavoro nero è tollerato perché è un ammortizzatore della crisi sociale”, ha sentenziato Scarciofano.
(N.M.)

QUESTO ARTICOLO
- E’ apparso sul New York Times il 18 giugno 1997. Il titolo originale era: Sicily Faces New Test Of Its ‘Black’ Economy.
- Il New York Times è considerato uno dei piú importanti quotidiani statunitensi. Vende 1.100.000 copie (1996).
- Indirizzo: 229 West 43rd Street, New York, NY 10036 Stati Uniti. Tel: (001 212) 556 1234. Web: www.nytimes.com


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