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L'Internazionale n. 188, 04.07.1997©

In copertina L’Italia vista da Time

Nuvole sul Mezzogiorno. Un viaggio in Sicilia

GREG BURKE, TIME, STATI UNITI

Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, sogna di trasformare il Sud nella California italiana. Time sceglie la Sicilia come punto di osservazione privilegiato su cinquant’anni di storia italiana. Serbatoio di voti per i governi del dopoguerra, nel Sud si è sviluppato un sistema clientelare duro da sconfiggere. Mancano le strade, le infrastrutture turistiche e industriali, mentre cresce la disoccupazione e sono pochi gli imprenditori privati che osano sfidare la mafia.
Carmelo Bonomo, un tassista di Palermo, ricorda il giorno del 1964 in cui andò a prendere Lucky Luciano di fronte all’Hotel Des Palmes e lo portò all’aeroporto. I due non si scambiarono una parola durante la mezz’ora del tragitto. Quando arrivarono a destinazione, Bonomo disse al suo passeggero che gli doveva quattromila lire e Luciano tirò fuori quattro biglietti da diecimila da un cospicuo mazzo di banconote. Quando Bonomo protestò, il leggendario boss mafioso lo mise a tacere dicendo: “Anche tu devi sopravvivere”.
Ma sopravvivere in Sicilia, e nel resto del meridione d’Italia, è da tempo una faccenda piuttosto ardua, e i tipi come Luciano hanno peggiorato le cose piuttosto che migliorarle. Anche Roma ha delle pesanti responsabilità per quanto riguarda il sottosviluppo del Mezzogiorno. Per le decine di governi che si sono succeduti dal dopoguerra, la Sicilia conservatrice e tutto il Sud sono stati un serbatoio di voti che ha contribuito a tenere la sinistra lontana dal potere. In cambio del loro appoggio politico, i meridionali hanno avuto una posizione privilegiata nella mangiatoia di governo, ricevendo una quota piú che abbondante di posti di lavoro clientelari, pensioni e altri favori. Questo patto ha funzionato, piú o meno, per decenni. I politici avevano i voti, i meridionali avevano i posti di lavoro e il Nord industriale aveva un enorme mercato forzato sul quale piazzare le proprie merci.
Ma l’accordo ha smesso di funzionare quando il governo non è piú riuscito a controllare il deficit di bilancio e la Democrazia cristiana ha perduto il potere a seguito dell’inchiesta Mani pulite. I quasi 50 anni nel corso dei quali il Mezzogiorno è stato trattato come un bambino viziato, e ha ricevuto un assegno mensile senza che nessuno gli insegnasse mai a camminare, hanno avuto come risultato il fatto che la metà meridionale del paese è stata lasciata in un emisfero economico diverso rispetto al Nord.
Cesare Caletti, direttore generale del Banco di Sicilia, gode un’ottima vista su questa realtà economica dalla finestra del suo ufficio al quinto piano di un palazzo al centro di Palermo. Caletti, originario di una città settentrionale come Cremona, è stato chiamato a risolvere i problemi della banca tre anni fa, quando questa era al limite del fallimento. Come molte altre istituzioni statali o parastatali, l’istituto bancario era stato trasformato in una macchina per elargire favori politici. Dopo tre anni consecutivi di perdite, per un totale di piú di 1.844 miliardi di lire, il Banco di Sicilia ha chiuso il 1996 in leggero attivo. Forse la sua banca si è rimessa in sesto, ma il quadro generale della regione è tutt’altro che positivo.
“La Sicilia è il Sud del Sud”, dichiara Caletti. “Siamo piú vicini al Nordafrica che al Sud dell’Italia”. E comincia a darci alcune cifre relative all’economia siciliana: c’è un 22,6 per cento di disoccupazione, rispetto al tasso nazionale del 12 per cento, con un aumento sia delle persone che hanno perduto il lavoro che di quelle in cerca di primo impiego. Il settore delle costruzioni, che per tradizione è sempre stato trainante nell’economia del Sud e della Sicilia in particolare, l’anno scorso ha visto un calo del 20 per cento, e si prevede che perderà un altro 5 per cento nel 1997. L’autostrada che collegherà due delle principali città dell’isola, Palermo e Messina - un simbolo dell’impegno del governo nei confronti della regione - deve ancora essere completata. E’ proprio questa mancanza di infrastrutture, in aggiunta alla presenza della criminalità organizzata, che scoraggia qualsiasi iniziativa economica. “Dal punto di vista degli affari, la situazione è abbastanza negativa”, afferma Caletti. I potenziali investitori si tengono alla larga perché sono spaventati dalla possibilità di estorsioni e di altri comportamenti spiacevoli da parte del crimine organizzato, ma soprattutto da quello che qui manca decisamente: una rete efficiente di trasporti e comunicazioni. “Quando il presidente del Consiglio Romano Prodi dice di voler fare del Sud la California d’Italia ci sta bene, ma in California l’industria è arrivata prima del turismo, non viceversa”, prosegue Caletti. “E per far arrivare il turismo c’è comunque bisogno di strade”.
Anche i treni aiuterebbero. La linea tra le due città maggiori, Palermo e Catania, è ancora a binario unico. “Nel resto d’Italia parlano di treni a alta velocità”, si lamenta Lelio Cusimano, presidente dell’Associazione industriali di Palermo. “Qui ci vogliono quasi quattro ore per fare 200 chilometri”. Cusimano sostiene che l’Italia meridionale, e in particolare la Sicilia, dovrebbe costituire un vantaggio e non un peso per il paese. L’isola, con una popolazione di cinque milioni di abitanti, dispone di una forza lavoro numerosa e abbastanza istruita, di ampi spazi (è la seconda regione d’Italia per estensione dopo la Lombardia) e di abbondante energia elettrica. Ma Cusimano riconosce che “andare al Nord e dire alla gente di venire quaggiú a investire non funziona”. Uno dei principali problemi è il costo del lavoro, e nonostante gli inviti da parte degli industriali e del governatore della Banca d’Italia a diversificare i salari per rendere piú attraenti gli investimenti al Sud, i sindacati sono decisamente contrari all’introduzione di un ventaglio salariale.
Di recente, tuttavia, si sono visti dei segnali positivi, afferma Cusimano. Due piccole banche del Nord hanno aperto filiali a Palermo. E piú di 350 imprenditori, approfittando della legge 488, che prevede un contributo dello Stato per le imprese che cominciano una nuova attività, hanno chiesto di poterlo fare in Sicilia. Ma alla fine Cusimano sembra destinato a subíre il fato di Sisifo: il fascino di un impiego governativo sicuro è molto maggiore dell’impulso a rischiare avviando un’attività privata. Tra pensioni e stipendi, il solo governo regionale ha circa 100mila persone sul suo libro paga. “Se la Sicilia avesse solo 100mila disoccupati, questa potrebbe anche essere una scelta saggia, ma ne abbiamo 500mila”, dice. La generosità dello Stato, che dopo la guerra ha trasformato la Sicilia in una specie di “fabbrica di stipendi”, adesso gli si sta rivolgendo contro.
Il direttore del Banco di Sicilia Caletti sostiene che “i politici italiani tendono a pensare che tutti i problemi si risolvono con l’intervento dello Stato”, e forse ha ragione. L’elargizione di posti di lavoro, anche se a livello piú ridotto, continua. Una legge nazionale concede ai giovani un salario minimo per lavori considerati “socialmente utili”. Questo provvedimento doveva durare un anno, ma in Sicilia è stato prorogato per otto anni di seguito. “Questo non è un incentivo a lavorare, è un’illusione”, afferma Beppe Accolla, uno studente di legge di Palermo. “La gente si sposa anche se guadagna 800mila lire al mese”.
Ma lo Stato non riesce a sfamare tutti i suoi figli. La crisi è particolarmente acuta nell’interno dell’isola, in posti come Castelfranco, la cittadina di cui Accolla è originario. Sebbene abbia una popolazione di soli quattromila abitanti, quattro diverse imprese sono state costrette a chiudere negli ultimi anni, lasciando 500 persone senza lavoro. L’anno scorso, circa 300 persone sono andate a cercare lavoro al Nord, e Accolla è convinto che altri ancora partiranno quando questi ritorneranno per le vacanze estive. “Prima o poi ci sarà un altro esodo”, dice, riferendosi alle migrazioni degli anni Sessanta, quando piú di tre milioni di siciliani lasciarono l’isola in cerca di lavoro. “In alcuni casi, due o tre famiglie vivono con un unico stipendio”.
A Palermo c’è la stessa povertà, ma meno spazio. Nei quartieri piú poveri, spesso la vasca da bagno e la cucina sono nella stessa stanza di un appartamento sovraffollato. Parecchi edifici del centro non appaiono molto diversi da com’erano piú di 50 anni fa dopo essere stati bombardati dagli alleati. E’ proprio in uno di questi quartieri degradati, La Kalsa, che sono cresciuti due coraggiosi e efficienti magistrati antimafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma piú spesso, quel tipo di quartieri è terreno fertile per la mafia. Falcone e Borsellino sono stati entrambi assassinati con delle bombe nel 1992, e la loro morte ha contribuito a stimolare la risoluzione del governo a lottare contro la mafia. Recentemente le autorità italiane hanno riportato qualche successo contro la malavita. Il “capo di tutti i capi”, Salvatore Riina, è stato arrestato a Palermo nel gennaio del 1993, e nel maggio dello scorso anno la polizia ha catturato l’uomo che gli era succeduto come boss dei boss, Giovanni Brusca. Anche l’atteggiamento della gente comune è cambiato. Il capo della sezione investigativa della polizia di Palermo, Luigi Savina, osserva che quando hanno portato Brusca al commissariato è stata la prima volta che la gente per strada ha applaudito la polizia.
E i gruppi di studenti, che si trovano spesso nel quartiere per visitare il vicino Palazzo Reale, continuano ad andare lí per vedere il posto dove Brusca è stato arrestato. Negli ultimi sei anni, nella provincia di Palermo i delitti di mafia sono diminuiti della metà. Tuttavia, Savina fa rilevare che grossi boss mafiosi come Bernardo Provenzano sono ancora in libertà, e le estorsioni quotidiane e il traffico di droga continuano. “I miei figli non vedranno ancora i risultati di quello che stiamo facendo, ma forse i miei nipoti sí”, afferma uno dei giovani agenti in borghese di Savina che passa le sue giornate a pedinare sospetti di attività mafiose.
Siciliani duri e decisi come Giovanni Tinebra, procuratore capo di Caltanissetta, continuano il lavoro di Falcone e Borsellino, anche se iperprotetti dalla polizia. Tinebra sostiene che la mafia ha commesso un fatale errore uccidendo Borsellino solo due mesi dopo Falcone. “La gente finalmente si è svegliata e anche al governo, nella polizia e tra i giudici il vento è cambiato”, dice. Tinebra è convinto che due delle chiavi dei progressi fatti nella lotta alla mafia sono state l’utilizzo dei pentiti e l’isolamento dei boss arrestati. L’isolamento non è riuscito completamente a evitare che i criminali continuassero a dirigere le cose mentre erano in prigione, ma ha di gran lunga ridotto la loro attività. “Le cose sono molto cambiate rispetto ai vecchi tempi, quando l’Ucciardone di Palermo era una specie di salotto buono della mafia”, osserva Tinebra con soddisfazione. Ma avverte che la povertà e l’ignoranza sono le migliori alleate della mafia. “Rischiamo di vedere sprecato tutto il nostro lavoro a causa della povertà e della crisi economica”, dice, e aggiunge che attualmente a Caltanissetta la disoccupazione è al 36 per cento. “Qui ci sono persone che non hanno mai avuto un lavoro”, osserva. “E vogliamo andargli a parlare dell’antimafia? Quelli ti rispondono: senti, io devo dare da mangiare alla mia famiglia”. Anche se riconosce che la crisi ha colpito tutta l’Italia, Tinebra sottolinea che la situazione non è uguale dappertutto. “Roma è la linea di confine. Da Roma in su, se un giovane cerca lavoro lo trova. A Sud di Roma, no”.
A San Giuseppe Jato, un paese annidato tra le tondeggianti colline appena fuori Palermo, l’assessore comunale Anna Taormina ha visto amici e parenti fuggire dalla Sicilia in cerca di lavoro. Il suo fidanzato lavora nel Nord, mentre due dei suoi fratelli sono in Svizzera e un altro è in Belgio. San Giuseppe Jato, come la vicina Corleone, è tristemente famoso. E’ infatti il paese natale della famiglia Brusca.
Riina è stato nascosto lí per un periodo di tempo, e anche Giuseppe Di Matteo, un bambino di 11 anni rapito e piú tardi strangolato, vi è stato tenuto prigioniero per un po’. “Questo era una specie di forte della mafia”, afferma il sindaco Maria Maniscalco. “Erano cosí sicuri di poter mantenere il controllo senza interferenze che qui succedeva ogni genere di cose. Alla periferia del paese immergevano la gente nell’acido”. Per ironia della sorte, questa cittadina di diecimila abitanti potrebbe essere un’attrattiva turistica grazie alle sue bellissime rovine romane.
Ma purtroppo nel meridione d’Italia ci sono anche rovine moderne. Il Teatro Massimo di Palermo, che è stato costruito nel 1895 ed è uno dei piú bei teatri del paese, è chiuso per restauri e ritardi burocratici da piú di vent’anni. “Ho un figlio di 23 anni e per lui il Teatro Massimo è solo un miraggio”, si lamenta l’editore Elvira Sellerio. Con tutta la sua bellezza e le sue possibilità sprecate, il Massimo è diventato il simbolo della tragedia della Sicilia e del resto dell’Italia meridionale.
(B.T.)


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