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L'Internazionale n.112, 12.01.1996©

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L’Italia sulla stampa internazionale

I dieci comandamenti della buona pizza

MARIE-CLAUDE DECAMPS, LE MONDE, FRANCIA

I napoletani vogliono una “denominazione d’origine controllata” per la loro pizza

“Basta! Non ne possiamo piú!”: i gondolieri si sono impadroniti dei ritornelli di ’O sole mio, lasciateci almeno la pizza! È un vero e proprio grido di rivolta quello lanciato dai napoletani per proteggere il loro patrimonio contro tutte le ignominie untuose ingiustamente battezzate “pizza napoletana” di cui si nutre l’umanità dei due emisferi. La municipalità, seguita dall’aristocrazia dei pizzaioli e da tutto quanto possiede la città in fatto di uomini di gusto e storici della pasta, ha dunque deciso di tornare alle radici e di dare alla pizza una “denominazione d’origine controllata”.
Una sfida lanciata alle varie Pizza Hut, Pizza Express e alle altre formule rapide che offuscano la tradizione permettendo di accumulare patrimoni.
Al di là dell’Atlantico, il business della pizza è uno dei piú redditizi e realizza un giro d’affari di quasi 23mila miliardi di lire all’anno grazie agli 11 miliardi di pizze consumate. Cifre a cui l’Italia non ha nulla da invidiare: 2,5 miliardi di pizze mangiate ogni anno; 30mila pizzerie (500 a Napoli), e un settore che dà lavoro a piú di 170mila persone. I piú entusiasti aggiungono persino che la pizza rende al paese altrettanto denaro delle automobili vendute alla Fiat. Ciononostante, i napoletani hanno sentito il bisogno di dedicare un congresso mondiale al loro prezioso prodotto.
Non meno di tre giorni di riflessione, di dibattiti e di futurologia si sono quindi svolti in una Napoli ancora convalescente dagli scandali, dalla corruzione e dalla cattiva immagine del passato, in cui il nuovo sindaco, Antonio Bassolino, non si lascia sfuggire nessuna occasione per ridorare il blasone della città e attirare un turismo di qualità.
Dovrebbero dunque esserci presto un marchio “pizza napoletana”, una “Fondazione della pizza” e un museo. Senza contare nuove scuole professionali per la formazione dei pizzaioli, questi maghi del “calzone”, della “marinara” e delle varie “quattro stagioni” che, a chiusura del congresso, hanno dato una dimostrazione della loro abilità in occasione delle “Olimpiadi della pizza”. Insomma, Antonio Bassolino, che sostiene di mangiare ogni giorno una pizza, vorrebbe che il suo congresso si tenesse ogni anno, come la Festa della birra a Monaco in ottobre.
Nel frattempo, la pizza napoletana sarà dunque certificata Doc sui menu italiani. In che cosa consiste? La sua antenata, la “focaccia”, piú o meno ereditata dai greci, divenne “pizza” alla fine del Sedicesimo secolo, quando il pomodoro, ingrediente indispensabile, importato dal Perú, fece la sua apparizione a Napoli passando per la Spagna. Per il resto, ci sono dieci comandamenti da rispettare:
1. Le uniche autentiche pizze napoletane sono la “marinara” (olio, pomodoro, origano, aglio e sale), creata per i marinai che partivano per mare all’alba, e la “margherita” (olio, pomodoro, formaggio grattugiato, mozzarella e sale), ideata per essere gustata dalla regina Margherita, anche se il “calzone” (pasta ripiena di formaggio e salsiccia) è ammesso insieme ad altre specialità.
2. La mozzarella sarà preferibilmente di latte di bufala, e sembra che la migliore sia quella fatta nei giorni di luna piena.
3. L’acqua della pasta dev’essere leggera ed equilibrata in sali minerali come quella delle fonti dell’avellinese.
4. I pomodori, a grappoli, devono essere saporiti ma non troppo succosi e schiacciati con le dita sulla pasta; quanto al basilico, si raccomanda che sia fresco e a foglia larga.
5. La pasta sarà lavorata esclusivamente a mano.
6. La cottura dovrà permettere di distinguere i tre colori nazionali: il bianco della mozzarella, il rosso dei pomodori, il verde del basilico.
7. Il forno, esclusivamente a legna e fatto di cilindri sovrapposti, avrà una base di mattoni refrattari levigati possibilmente con la sabbia di Torre Annunziata, vicino al Vesuvio, e della dimensione di 4,5 “palmi della mano”.
8. La pizza, piatto individuale (niente a che vedere con i colossi familiari serviti negli Stati Uniti) e popolare per eccellenza, che veniva inghiottita piegata in quattro nei vicoli dove era cotta in forni portatili, va mangiata bollente.
Si racconta l’aneddoto del regista Vittorio De Sica che, dal celebre Ciro, lasciava che i suoi amici si sedessero a un tavolo e restava in piedi vicino al forno per assaporare prima che si raffreddasse, anche per un solo istante, la sua “marinara”.
9. Il bordo della pizza dev’essere alto e particolarmente croccante, il resto piú sottile.
10. Il trasporto in una scatola di cartone è un’eresia, solo uno strofinaccio o un paniere di vimini non snaturano il gusto della pasta.
Quanto alla bevanda con cui gustarla, ci vorrebbe, dicono i piú pignoli, dell’asprinio di Aversa, un vino di colore paglierino tirante al verde, fresco e secco, con un retrogusto di limone, ma la birra è comunemente ammessa. Quanto alla Coca Cola, che ha invaso le pizzerie americane e si fa strada persino nel sancta sanctorum napoletano, tutti storcono il naso davanti a lei.
Ciò non ha impedito che, complice il bisogno di promozione, la Coca Cola fosse uno dei principali sponsor del congresso.


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