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Borboni e corsari barbareschi

Un secolo di lotte per la pace e la libertà nel Mediterraneo: scontri armati e trattati di cooperazione fra il Regno meridionale ed i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente dal 1738 al 1836

di FRANCO NOCELLA
Segretario della Feder-Mediterraneo
fidm@ics-vdc.it

Era il 21 aprile 1738 quando una squadriglia di sciabecchi algerini, guidata da un rinnegato cristiano chiamato Haji Mussa, era entrata persino nel golfo di Napoli, con un progetto a dir poco ardito, che, tuttavia dà l'idea di quale fosse lo strapotere che i pirati barbareschi avevano raggiunto in quel periodo nel Mediterraneo: erano intenzionati a catturare ed a portore come ostaggio al bey turco di Algeri niente di meno che Carlo di Borbone, l'allora giovanissimo Sovrano, da pochi anni assiso sul trono delle Due Sicilie, di cui aveva ricostituito l'indipendenza.

Il Re si era recato nella sua tenuta di Procida per una battuta di caccia al fagiano e stava per far rientro a Napoli. Il folle piano non andò a segno, ma l'episodio serví a convincere il Sovrano dell'assoluta necessità di proteggere le popolazioni costiere ed i traffici mercantili del Regno meridionale contro una minaccia che si era fatta gravissima, come ci racconta monsignor Luigi Dal Pozzo, nella sua "Cronaca civile e militare delle Due Sicilie".

Rapidamente si passò, pertanto, dalle parole ai fatti. Il 25 febbraio 1739 fu stabilito di armare sette navi (quattro galeotte e tre feluconi) che si trovavano in allestimento. Dopo un mese, si entrò in azione. Furono formate tre squadre.

La prima ebbe il compito di sorvegliare le coste del Tirreno dallo Stretto di Messina fino alle Bocche di Capri, la seconda lo Jonio e la terza la Sicilia con gli arcipelaghi del suo sistema insulare periferico. Il 23 giugno, il primo scontro: al largo di Capo Palinuro. La squadra del Tirreno affrontò due navi corsare (una galeotta ed uno scappavia) provenienti da Tripoli. Furono catturate e condotte nel porto di Napoli.

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Due Sicilie e Sublime Porta

Mentre aveva rinforzato le difese ed inferto i primi colpi, Carlo di Borbone cercava saggiamente di percorrere anche un'altra via: quella di un onorevole compromesso con l'Impero Ottomano, da cui dipendevano le reggenze di Tripoli, Tunisi ed Algeri. Questi tre, infatti, erano i principali porti dove venivano equipaggiate ed armate le navi impiegate nelle incursioni dei pirati barbareschi.

Il 5 novembre di quello stesso anno, quindi, si metteva in moto un meccanismo che avrebbe portato - in un lasso di tempo abbastanza rapido - alla creazione fra la Sublime Porta di Costantinopoli ed il Regno delle Due Sicilie di quelli che oggi verrebbero chiamati "rapporti diplomatici".

Un delegato del Re partiva per la capitale turca con la nave inglese "Gertrude" ed il 7 aprile 1740, nella sua qualità di rappresentante delle Due Sicilie, sottoscriveva, in nome e per conto di Carlo di Borbone, un "trattato di pace, navigazione e commercio". Per parte ottomana il documento era firmato dal Gran Vizir El Haji Mohamed. Negli archivi napoletani l'accordo sarebbe stato cosí rubricato: "Prammatica Foedus Regium et Othomanum, XCVIII, 1740".

In esecuzione del trattato il 22 dicembre di quell'anno fu inviato a Costantinopoli un incaricato d'affari del Regno delle Due Sicilie. Mentre, nel giugno 1741, due navi napoletane che avevano portato nella capitale turca doni del Re per il Sultano accompagnarono a Napoli El Haji Hussein Effendi, ambasciatore straordinario della Sublime Porta presso la corte di Carlo di Borbone.

Il Sultano turco Mahmud Han mantenne la parola e diramò subito l'ordine ai bey del Nord Africa di rispettare il trattato stipulato con le Due Sicilie: i suoi vassalli di Tripoli, Tunisi ed Algeri, però, da un orecchio se lo fecero entrare e dall'altro se lo fecero uscire. Le incursioni dei barbareschi contro le popolazioni costiere ed i convogli mercantili del Regno meridionale, pertanto, continuarono come prima.

Il 13 agosto 1740, mentre si trattavano i dettagli dell'accordo fra Impero Ottomano e Due Sicilie, due galeotte napoletane sorpresero presso Capo Sottile due galeotte tripoline che preparavano un'incursione. Le assalirono e le affondarono: 78 uomini della ciurma furono portati prigionieri a Napoli.

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Il leggendario "Capitan Peppe"

La flotta organizzata dal Re Carlo faceva buona guardia e, quasi sempre, riusciva ad avere la meglio sui pirati barbareschi. Il 22 settembre 1743 una squadra di due galeotte delle Due Sicilie ritornava a Napoli con un legno partito da Tripoli, catturato con tutto l'equipaggio. Nella lotta contro la minaccia dei corsari, ben presto, si mise in luce un ufficiale borbonico, che assunse la dimensione di un eroe quasi leggendario: Giuseppe Martinez, alfiere di galera, comandante della "Sant'Antonio".

Nato a Cartagena nel 1702, giunto a Napoli nel 1732, quattro anni dopo era entrato nell'Armata di mare. Nel luglio 1747 fu destinato alla sorveglianza del litorale dei Presidi e tornò alla base un mese piú tardi dopo aver catturato una galeotta tunisina con 36 uomini di equipaggio. L'anno successivo, promosso capitano, posto al comando di uno sciabecco da poco entrato in armamento, ripetette l'impresa nello Jonio, catturando uno sciabecco tunisino ed i 54 barbareschi che vi erano imbarcati. Nell'aprile 1752 le unità navali poste al comando del Martinez - che a Napoli era popolarmente acclamato come "Capitan Peppe" - furono impegnate, nei pressi dell'isola greca di Zacinto, in uno scontro con il "Gran Leone", un rubusto bastimento corsaro sul quale sventolava il vessillo del bey d'Algeri.

La vittoria fu delle Due Sicilie: lo sciabecco algerino fu affondato, 109 barbareschi rimasero uccisi e gli altri furono fatti prigionieri. Il "rais" fu portato in catene a Napoli, dove il comandante della squadra navale vittoriosa, ferito in battaglia, fu promosso e decorato dal Re.

Ma per "Capitan Peppe" non era ancora finita. Giuseppe Martinez, che aveva ottenuto il comando dello sciabecco "San Luigi", nell'aprile 1753, al largo di Capo Rizzuto catturò un pinco con le insegne del bey di Tripoli e 90 uomini di equipaggio. Il "rais" Mohamed Ingnet fu fatto prigioniero assieme a 58 uomini della ciurma corsara, mentre gli altri perirono in combattimento. Qualche tempo piú tardi, una nuova vittoria. Una squadra delle Due Sicilie, nell'aprile 1757, si imbatté lungo le coste della Calabria in uno sciabecco algerino ed ebbe la possibilità anche questa volta di catturarlo.

Nel maggio successivo il Martinez riuscí ancora ad avere la meglio: un grosso pinco di Tripoli fu catturato nelle acque della Sicilia, dopo un vivace combattimento. A novembre, ancora un altro legno dei barbareschi cadde nella rete dell'ormai leggendario comandante dell'Armata di mare delle Due Sicilie,

La bandiera con i gigli d'oro dei Borbone cominciava a far paura ai corsari del Nord Africa e ne riscuoteva il rispetto: le incursioni si ridussero fin quasi a scomparire. La situazione, però, cambiò ben presto. Quando, nel 1759, il Re dovette partire per Madrid per cincervi la corona spagnola con il nome di Carlo III, il consiglio di reggenza che guidò lo Stato delle Due Sicilie fino al raggiungimento della maggiore età di Ferdinando IV non diede impulso alla marina da guerra. Le coste del Regno, pertanto, non potettero essere adeguatamente protette.

Nel 1763 il bastimento mercantile napoletano "Sant'Antonio", inseguito dai pirati barbareschi, lungo il litorale pugliese fu costretto ad arenarsi presso Polignano. Nonostante tutto, però, quello stesso anno due galeotte napoletane riuscirono a catturare, a 30 miglia da Giannutri, una galeotta tunisina facendo 35 prigionieri.

Questo stato di cose durò fino allo scioglimento del consiglio di reggenza: il nuovo Re, infatti, comprese subito l'importanza che l'Armata di mare aveva per la protezione delle popolazioni costiere e per i commerci e le diede ben presto nuovo impulso. Nel 1784 la flotta delle Due Sicilie - assieme a quella della Spagna, di Malta e del Portogallo - partecipò ad un'azione coordinata contro la base dei barbareschi di Algeri: dal 12 al 24 luglio i cannoni delle navi alleate fecero fuoco contro le fortificazioni e le postazioni di artiglieria del porto algerino.

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Duelli a colpi di cannone

L'aggressività dei corsari fu frenata, ma non debellata. Nel maggio 1792, infatti, due sciabecchi algerini attaccarono una polacca sorrentina. Intervenne la fregata napoletana "Sirena", che le inseguí e le affondò a cannonate nella rada di Cavalaire, sconfinando nel dipartimento francese del Fréjus: ne nacque un incidente diplomatico. Il 21 giugno 1796 gli sciabecchi napoletani "Robusto" e "Diligente" erano in crociera nel Tirreno.

A 20 miglia da Ustica furono attaccati da due grossi bastimenti dei barbareschi: il "Diligente" fu catturato dai pirati ed il "Rubusto" fu costretto a rientrare a Napoli.

Nell'aprile del 1797 un altro scontro, questa volta vittorioso per i colori delle Due Sicilie. Un convoglio di navi mercantili cariche di cereali era diretto da Messina a Brindisi, lo scortava la corvetta "Aurora". Presso il capo di S.Maria di Leuca una grossa polacca tunisina, armata con 14 cannoni, aggredí il convoglio. Intervenne la corvetta, che ebbe la meglio.

Dopo un violento cannoneggiamento, l'imbarcazione barbaresca fu catturata. Stato di allarme anche nel maggio 1798. Una squadra napoletana guidata dal "Sannita", nei pressi delle isole pontine, si mise sulle tracce di un brigantino e di uno sciabecco tunisni e riuscí a catturare il brigantino.

La "Aretusa", invece, si riuscí ad impossessare di una polacca genovese: la nave era stata, in precedenza, catturata dai tunisini che se ne erano impadroniti. La "Sirena" e la "Cerere", in quegli stessi giorni, incrociando nel canale di Sicilia, si imbatterono in un pinco proveniente da Tripoli: lo catturarono e portarono a Napoli i 35 membri dell'equipaggio.

Le stesse navi, appena ripreso il mare, ebbero la meglio nei confronti di una galeotta tunisina, incrociata al largo di Ponza: i 68 uomini della ciurma furono fatti prigionieri. Poche settimane dopo, le due unità delle Due Sicilie erano in Adriatico, dove scortavano un convoglio mercantile. Uno sciabecco algerino tentò un'aggressione al largo di S.Maria di Leuca, ma fu costretto alla fuga.

L'invasione francese, l'effimera esperienza della repubblica partenopea ed il regno dei napoleonidi misero in crisi l'economia ed il sistema di sicurezza che era stato costruito per poteggere le Due Sicilie contro i barbareschi: per 15 anni l'Italia meridionale fu esposta alle aggressioni dei pirati, rimanendo praticamente senza difesa.

Soltanto dopo il ritorno a Napoli del Re Ferdinando fu possibile riprendere il vecchio discorso. Il 25 aprile 1816 fra il Regno delle Due Sicilie ed il bey di Tripoli fu sottoscritto un trattato di pace. Nove anni piú tardi, quando il trattato avrebbe dovuto essere rinnovato, il bey alzò la posta. Contro i 40.000 colonnati che avrebbe dovuto ricevere dal governo di Napoli, ne chiese piú del doppio: 100.000. Francesco I, da poco succeduto al padre Ferdinando, deceduto nel 1825, non accettò il ricatto

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L'assedio di Tripoli

Le fregate "Cristina" e "Regina Isabella" furono inviate a Tripoli. La squadra navale era investita di una delicata missione: studiare con il console delle Due Sicilie le possibilità di un eventuale compromesso e, nello stesso tempo, valutare la consistenza delle difese di quel porto. L'accordo si rivelò impossibile ed il bey fissò un termine di due mesi per ottenere la somma richiesta.

Fu decisa, quindi, un'azione navale. Una flotta composta di navi di vario tipo e da diverse cannoniere il 22 agosto si schierò su due file di fronte al porto di Tripoli. Verificata l'indisponibilità del bey ad una composizione pacifica della vertenza, il 23 agosto iniziò il cannoneggiamento contro i fortini del porto. L'attacco contnuò per una settimana. Il 28 agosto i tripolini tentarono una sortita, ma furono respinti.

La flotta napoletana si ritirò, ma il problema non era stato risolto: il bey, infatti, continuò ad aggredire le navi mercantili che transitavano nello Jonio e nel canale di Sicilia. Il 27 settembre la "Regina Isabella" ed il "Principe Carlo" intercettarola la "Mabrouka", goletta tripolina con 56 uomini d'equipaggio, la catturarono e la trasportarono nel porto di Trapani. A questo punto, il bey venne a piú miti consigli ed il 28 ottobre 1828 si decise a firmare a diverse condizioni un nuovo trattato di pace.

Ma, non era ancora finita. Il 23 marzo 1833 fu sottoscritto un accordo di reciproca assistenza contro la pirateria con il Regno di Sardegna: fu decisa un'azione navale congiunta contro il bey di Tunisi. L'iniziativa si concluse positivamente il 10 maggio, mentre il 17 novembre veniva sottoscritto a Tunisi un trattato di pace e di amicizia fra il bey ed il Regno delle Due Sicilie. Con quell'accordo si confermava una precedente convenzione, sottoscritta il 17 aprile 1816, in base alla quale la bandiera delle Due Sicilie era considerata come quella della "nazione piú favorita".

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Il trattato di Tangeri

L'epoca della pirateria impersonata nei barbareschi del Nord Africa era, ormai, al tramonto. Tuttavia, si ebbe ancora un colpo di coda. Nel 1834, infatti, sorsero nuovi "dissensi" con il Marocco. Materia del contendere: il rispetto della libertà di navigazione nelle acque mediterranee ed atlantiche di quel paese. Si sapeva che il sultano Mulay Abdel Rahman stava armando navi da guerra.

Fu deciso pertanto che un raggruppamento navale delle Due Sicilie effettuasse una "dimostrazione" davanti alle coste marocchine. La divisione composta da una fregata, da una corvetta e da una goletta partí da Napoli il 13 maggio. Il retro ammiraglio Giavan Battista Staiti, giunto a Gibilterra, prese contatto con Mulay Abdel Rahman attraverso il console delle Due Sicilie per sapere se il sultano accettava le proposte del governo di Napoli per il rinnovo del trattato di amicizia. La fregata "Regina Isabella" uscí in Atlantico e costeggiò, verso sud, i litorali marocchine fino a Salè, effettuandovi delle manovre. Poi si ricongiunse con le altre unità della divisione a Cadice.

Il 23 giugno il trattato era sottoscritto dagli emissari del Sultano e dai rappresentanti di Ferdinando II: le basi erano le stesse di un precedente trattato del 1782. Un consolato delle Due Sicilie era aperto a Tangeri, alle navi "dalla Real bandiera napolitana coverte" si riconosceva piena libertà di navigazione ed al Sultano si accordava un donativo di 16.000 colonnati "una tantum".

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Lotta contro lo schiavismo

Da quel momento non si hanno piú notizie di aggressioni da parte di pirati barbareschi contro navi, paesi e beni delle Due Sicilie. Un'epoca si chiude, mentre si profilano i presupposti per la nascita di un'epoca nuova. I prigionieri musulmani catturati durante le incursioni erano stati utilizzati per la costruzione della Reggia di Caserta, cosí come i militari e civili delle Due Sicilie catturati dai barbareschi erano stati venduti come schiavi a Tripoli, a Tunisi o ad Algeri.

Da parte del Regno delle Due Sicilie, però, non c'erano mai stati tentativi di prevaricazione nei confronti dei popoli del Nord Africa: le radici del colonialismo si sarebbero manifestate soltanto all'indomani del 1860 e sarebbero nate in altri contesti, a partire dalle velleità imperialistiche dell'ex garibaldino Francesco Crispi, sensibile esecutore degli interessi della nascente economia industriale "padana": il governo borbonico, per un secolo, si era limitato ad esercitare esclusivamente il proprio diritto alla legittima difesa.

Il suo obiettivo era sempre stato quello di salvaguardare i propri interessi nazionali e commerciali. Strumento privilegiato per il conseguimento di questi scopi era sempre stato quello di stabilire accordi diplomatici con tutti i governi disseminati sulle sponde orientali e meridionali del Mediterraneo: dalla Sublime Porta di Costantinopoli fino al Sultano del Marocco. Suo interesse strategico era sempre stato quello di stabire con tutti gli stati rivieraschi accordi di amicizia e di collaborazione.

Risolti gli spinosi problemi posti dalla pirateria che dominava i mari circostanti il Regno, le Due Sicilie - superata qualsiasi forma di rancore per le negative esperienze del passato - si stavano avviando su una strada del tutto nuova: quella del dialogo, della tolleranza, del rispetto per i diritti umani e dei diritti dei popoli. Non ci sono trattati a dimostrarlo, ma qualcosa di molto piú importante, eloquente e convincente. Alcuni fatti, per la verità, poco noti, che riguardano la vita di Ferdinando II.

Ce ne parla Michele Topa, giornalista e biografo degli ultimi Borboni di Napoli. Uno degli impegni che caratterizzò la vita del penultimo Sovrano delle Due Sicilie fu la lotta contro la tratta degli schiavi. Nessun libro di storia lo dice, ma egli, sin da quando cinse la corona, si occupò di quel problema che lo angosciava ed il 14 febbraio 1838, in una convenzione stipulata con l'Inghilterra e la Francia, assunse con piacere l'impegno ci cooperare, tanto con rilevanti somme di denaro quanto con la forza delle armi, alla lotta per l'abolizione di quel nefando, odioso commercio. Nel Reame introdusse pene severissime contro coloro che avessero esercitato quel turpe mercato.

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"I nostri figli neri"

Un'altra testimonianza che mette in evidenza lo spirito con cui i Borboni si erano posti nei confronti delle popolazioni di colore è costituita dall'accoglimento, nell'ambito della famiglia reale, di due moretti schiavi, donati a Ferdinando II dal generale Paolo Avitabile.

Costui, nativo di Agerola, dopo essere stato ufficiale nell'esercito borbonico era emigrato nel Medio Oriente, dove era divenuto vice re del Peshawar, molto agevolando il commercio con il Regno delle Due Sicilie. Ritornato in patria, offrí al Re i due piccoli mori, che si chiamavano Marghian e Badhig. Ferdinando fece immedietamente liberi i due fanciulli, li tenne al fonte battesimale e fu anche loro padrino di cresima. Al piú grandicello, Marghian, diede il proprio nome. All'altro, quello del principe ereditario Francesco.

Li fece istruire nel collegio dei Gesuiti e successivamente in quello dei Barnabiti. Prima di morire, nel 1859, accordò loro una pensione dalle sue sostanze private. Sia lui che la Regina Maria Teresa, parlando dei due moretti, dicevano 'i nostri figli neri'. Finiti gli studi, Ferdinando Marghian ebbe un'impiego nella biblioteca privata del Sovrano. L'altro, cagionevole di salute, fu affidato al guardarobiere del Re, Gaetano Galizia. Entrambi, diventati adulti, restarono fedeli alla famiglia reale anche nella sventura. Seguirono Francesco II a Capua ed a Gaeta e, dopo la resa della fortezza, nel 1861, a Roma.

I fatti, è noto, parlano piú di tante parole. Ed a questi fatti si affida la conclusione di una storia che era iniziata con il racconto del tentativo dei pirati algerini di catturare, nelle acque del golfo di Napoli, Carlo di Borbone, il restauratore dell'autonomia del Regno delle Due Sicilie, mentre ritornava a casa dopo una battuta di caccia al fagiano nell'isola di Procida. Fatti inoppugnabili che delineano un inizio ed una fine, attraverso cui si chiude un cerchio. Fatti che ci parlano di quello che avrebbe potuto essere il futuro. Anzi, a ben riflettere, di quello che potrebbe ancora essere il futuro.


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